Per circa duemila, lunghissimi anni la lingua dell’antico Egitto rimase uno dei più grandi misteri mai svelati. Eppure in essa si nascondeva la storia di una civiltà millenaria, una delle più importanti e determinanti del nostro patrimonio umano e culturale. Fu l’archeologo francese Jean-Francois Champollion a scoprire la chiave esatta per decodificare i geroglifici, un termine che gli Egizi usavano per identificare una sacra incisione. L’uso di questo tipo di scrittura era riservato a monumenti o qualsiasi oggetto, come stele e statue, concepiti per essere eterni; la scrittura corrente e quotidiana in Egitto era quella ieratica. Quella di Champollion fu una intuizione più che geniale e la troviamo contenuta nella Lettera a M. Dacier, esposta per la prima volta all’Academie des Inscriptions et Belles Lettres di Parigi, il 27 settembre 1822, esattamente 198 anni fa. Fondamentale, per questa magnificiente opera, fu la scoperta della Stele di Rosetta, la lastra recante il decreto di Menfi, promulgato il 27 marzo del 196 a.C. dai sacerdoti del tempio di Ptah per celebrare l’anniversario dell’ascesa al trono del faraone Tolomeo V Epifane, avvenuta l’anno precedente. Nel decreto in questione venivano riportati i benefici apportati al Paese dal sovrano, le tasse che erano state da lui abrogate e i privilegi, soprattutto di natura economica, che i sacerdoti del tempio avevano ricevuto dal faraone. Una lastra di 114x 72 cm, pesante 760 kg, oggi conservata al British Museum di Londra, riportante un’iscrizione con tre diverse grafie: geroglifico, demotico e greco.
Champollion conosceva alla perfezione nove lingue antiche (latino, greco, ebraico, arabo, siriaco, caldeo, copto, persiano e sanscrito) e, dopo accurati confronti con altri testi, ebbe un’intuizione straordinaria che riportò in luce la grande civiltà egizia. Intuizione che gli permise di riconoscere i geroglifici come un sistema complesso di scrittura figurativa, simbolica e fonetica. Tramite una copia della Stele, trasse delle conclusioni che andavano a smentire quelle passate teorie che ritenevano il geroglifico un tipo di scrittura meramente figurativa. Piuttosto, riuscì a dimostrare il contrario scoprendo il valore fonetico dei simboli e due anni dopo approfondì la scoperta nel Précis du Système hiéroglyphique. Champollion concepì che ogni ideogramma potesse racchiudere in un solo carattere uno o più suoni fonetici. La scrittura geroglifica consta di 24 caratteri principali (simboli per un singolo fonema), ai quali si aggiungono molti più segni biconsonantici (simboli per due fonemi combinati). Vi sono anche segni triconsonantici (tre fonemi), anche se sono meno comuni degli altri. In totale la scrittura geroglifica consta di più di 6.900 caratteri, compresi raggruppamenti e varianti.
Giornalista