“Michael Schumacher è in condizioni critiche dopo l’incidente occorsogli mentre sciava”. Questo era il primo bollettino medico del 29 dicembre 2013. Un evento che aveva l’amaro sapore di perplessità e incredulità: sembrava assurdo e impossibile, infatti, che un incidente sugli sci avesse potuto ridurre in fin di vita l’uomo che nella vita aveva scelto di correre a 300 all’ora, diventando campione del mondo per sette volte, facendo ciò che nessuno mai aveva fatto. “Se fai il mio mestiere”, diceva, “alla morte non ci pensi spesso, altrimenti vai a piedi”. Erano le 11 del mattino di quel 29 dicembre e, durante una discesa con gli sci fuori pista sulle nevi di Méribel, in Francia, Michael cadde e batté violentemente la testa contro una roccia. Trauma cranico, emorragia cerebrale, operazione e coma da cui uscì sei mesi dopo. La famiglia mantenne il riserbo totale sulle cure che successivamente avrebbe ricevuto e sulla riabilitazione nella sua abitazione in Svizzera. Due titoli mondiali con la Benetton, nel 1994, anno in cui morì Senna, e nel 1995, e altri cinque con la Ferrari dal 2000 in poi. 91 vittorie, 155 podi, 68 pole, 77 giri veloci.
Un lungo coma costrinse il Kaiser a trascorrere oltre sei mesi presso l’Ospedale di Grenoble e dopo fu trasferito a Losanna, in Svizzera, per proseguire la riabilitazione, come confermarono i familiari e i comunicati stampa rilasciati dalle due cliniche. Dopo tanti anni, tutto è ancora avvolto nel mistero e nel più totale riserbo. La cortina di ferro imposta attorno al campione da familiari e amici ha sempre assicurato che in caso di novità sarebbero stati loro, e solo loro, a renderne partecipi tifosi e appassionati. E così sono passati giorni, e poi settimane, poi mesi, poi anni. Nove, per l’esattezza.
Giornalista