I sanniti, quando leggono la storia della loro terra e delle loro radici, vanno a imbattersi sempre in questa data: 5 giugno 1688, la data che ha cambiato e radicato per sempre la loro storia, la loro fisionomia, i loro borghi, abitudini e la strutturazione del loro impianto urbanistico. Quella è la data dalla quale si è modificato e andato a orientare l’assetto viario e urbanistico degli attuali borghi sanniti. Era un sabato, la vigilia di Pentecoste, attorno alle ore 20 dell’ora canonica, le attuali 18:30: il terremoto fu violento e provocò distruzioni e gravissimi danni nell’area dell’Appennino molisano e campano che dai Monti del Matese si allunga al Beneventano e all’Irpinia. Una testimonianza di ciò che accadde si ha da Pompeo Sarnelli, all’epoca Abate del collegio di Santo Spirito a Benevento e testimone oculare dell’evento: “Era il quinto giorno di Giugno, Sabato vigilia della SS. Pentecoste, sesta del nostro insigne Collegio di S. Spirito nella Chiesa di S. Maria di Costantinopoli, quando io, Abate del medesimo, preparavami per andarvi à celebrare la solennità de’ primi Vespri. Ed, essendo già hora, pensava d’inviarmi verso colà […]. Ed ecco, che sonate le 20. hore, sentii una grande scossa alla stanza. […] ed in un subito (erano le venti hore, e mezza) senza accorgermi di altra scossa, vidi precipitarmi addosso la soffitta, e tetto della stanza. […] onde cessata la scossa, restai tutto pesto, e contuso sotto le rovine della soffitta, del tetto, e del muro à me vicino…”
Il Sannio fu la zona più colpita, a nord-ovest di Benevento e a sud-ovest dei Monti del Matese: i paesi di Cerreto Sannita, Civitella Licinio e Guardia Sanframondi furono completamente rasi al suolo. Fu qui, infatti, che l’intensità della scossa arrivò al grado 11 della scala Mercalli, tra le più alte rilevate nella intera storia sismica italiana. Altri venti paesi e villaggi siti nelle attuali province di Benevento e di Avellino furono quasi completamente distrutti. Fra i centri gravemente danneggiati ci furono anche le città di Napoli, Avellino e, soprattutto, Benevento, la quale, complice anche la scarsa qualità dei materiali edilizi, subì enormi danni: più dell’80% degli edifici della città fu distrutto o gravemente danneggiato. Un mucchio di sassi, ne restò: tutti gli edifici riportarono crolli e danni immani, alcuni palazzi crollarono totalmente. Uno degli edifici più gravemente danneggiati fu la Chiesa di Santa Sofia, della quale crollarono aggiunte medievali, la cupola centrale e il campanile romanico. Il nuovo campanile che oggi conosciamo fu ricostruito nel 1703, in una posizione diversa da quella originale. Nella Valle di Vitulano si vide una grande trave di fuoco, che la abbrustolì letteralmente. E dopo il terremoto si sentì una puzza nauseabonda di zolfo. Grandi i danni anche nei centri più lontani. A Napoli, per esempio, dopo la violenta scossa, le strade cittadine si ingombrarono di macerie e detriti e una trentina fra chiese e altri edifici religiosi furono gravemente danneggiati.
Tantissimi i morti sanniti, se ne contano diverse migliaia. In alcuni dei paesi più devastati la mortalità fu elevatissima: a Cerreto Sannita il terremoto uccise la metà degli abitanti, che erano circa 8.000; a Guardia Sanframondi morirono oltre 1.000 persone mentre a Civitella Licinio le uniche persone sopravvissute furono quelle che al momento della scossa si trovavano al lavoro nei campi; a Benevento morirono circa 2.100 residenti. Si stima che, totalmente, le vittime furono circa 10 mila, anche se non vi sono certezze. Nell’orario della scossa, la maggior parte delle persone si trovava al lavoro nei campi, per fortuna, perché se la scossa avesse tardato, per esempio arrivando nel cuore della notte, le vittime sarebbero certamente state di più. La scossa principale fu avvertita anche in Molise, Abruzzo, Lazio, Basilicata e Puglia. Sembra che già a metà febbraio del 1688 a Benevento fossero state avvertite due scosse di terremoto, che non avevano causato danni, mentre un’altra scossa fu avvertita nella stessa giornata del 5 giugno, circa mezz’ora prima di quella catastrofica. Ondate sismiche seguirono, poi, fino a dicembre 1688. Non solo gli edifici, non solo le vittime umane: la scossa interessò anche i suoli e le acque: grandi spaccature si aprirono nei monti del Sannio, accompagnate in alcuni casi dalla fuoriuscita di gas, come avvenne nell’antica Telesia, e nacquero nuove sorgenti, mentre altre già esistenti si intorbidirono. Si ebbero frane e cadute di massi dai versanti montani. Un’enorme frana si abbatté sul villaggio di San Lorenzello e uccise centinaia di persone su un migliaio di abitanti, più della metà. I fiumi Sabato e Volturno subirono deviazioni e intorpidimenti. Il vecchio abitato di Cerreto Sannita fu totalmente raso al suolo dalla scossa, e di conseguenza abbandonato. Il conte Marzio Carafa, feudatario di Cerreto, su consiglio di tecnici e ingegneri, decise di ricostruire la nuova cittadina più a valle, su un terreno considerato più stabile, con una pianta con strade larghe, isolati squadrati, edifici che al massimo avessero due piani, muri di pietre squadrate. Cerreto Sannita, per questo, è chiamata “città di fondazione”.
Giornalista