I primi giorni di novembre ci legano sempre al ricordo dell’elezione di un presidente americano, o di una conferma. E in questi giorni abbiamo assistito a questo a testa fra Trump e Biden con grande enfasi, vedendo alla fine la vittoria di quest’ultimo. Ma proprio oggi ricorre un importantissimo anniversario per la storia, non solo degli Stati Uniti d’America, ma mondiale: l’8 novembre 1960, a 43 anni John Fitzgerald Kennedy, l’idealista senza illusioni, candidato con Richard Nixon alle elezioni presidenziali, vinse e divenne il 35° presidente degli Stati Uniti d’America, il più giovane di tutti. Un giovane presidente che aveva all’attivo un’agiata giovinezza con bambinaie e domestiche. Era il secondo di nove figli e anche se apparteneva all’élite, fu anche attraversato dal dolore e dalla conoscenza diretta dell’orrore a causa di svariate malattie che colpirono alcuni dei fratelli. A tredici anni fu lui stesso a soffrire di una malattia mai diagnosticata che limitò moltissimo le sue attività e da allora svariati problemi di salute lo accompagnarono tutta la vita. Un caso molto noto è quello del 1946 in cui gli fu diagnosticata la malattia di Addison, potenzialmente letale. Fu suo padre ad appoggiarlo moralmente nella decisione di darsi alla politica, dopo la morte di suo fratello Joe. Prima deputato, rieletto due volte, nel ’52 si candidò per il Senato, vincendo con un margine di soli 70 mila voti. In previsione delle elezioni presidenziali che lo videro vincitore, la sera del 26 settembre negli studi della CBS di Chicago, i due candidati si confrontarono di fronte a 70 milioni di telespettatori americani e Nixon ne uscì male. Jack diede l’impressione di essere un leader deciso a gestire i più gravi problemi del paese, mentre il candidato repubblicano apparve come uno che cercava solo di prevalere sull’avversario. Kennedy voleva dimostrare agli elettori che era arrivato il momento di riportare un democratico alla Casa Bianca.
Uno dei temi più delicati della sua campagna elettorale fu quello relativo ai diritti civili delle minoranze, in particolare, degli afroamericani. Jack era convinto del diritto morale dei neri di rivendicare leggi che stabilissero pari opportunità e, pur temendo l’irritazione dell’elettorato democratico bianco del Sud degli Stati Uniti, si convinse dell’irrinunciabilità della battaglia antirazzista e antidiscriminatoria. Decisivo nel procurargli l’appoggio degli afroamericani fu la posizione che assunse nei confronti di Martin Luther King che era stato arrestato per avere tentato di violare la segregazione razziale in un ristorante di Atlanta e poi condannato a quattro mesi di lavori forzati per aver violato i termini della libertà vigilata, commettendo un’infrazione stradale (che, in realtà, non aveva commesso). L’iniziativa dei fratelli Kennedy che portò alla scarcerazione del reverendo King, contrapposta alla totale inerzia di Nixon, procurò a Jack un importante vantaggio tra gli elettori afroamericani. L’8 novembre Kennedy vinse, ma fu una vittoria risicata. Egli stesso si rendeva conto che pochi voti in più non lo legittimavano a intraprendere iniziative radicalmente nuove, inducendolo, invece, a porsi, entro certo limiti, in continuità con la presidenza Eisenhower. Piuttosto, con quel margine così contenuto si persuase che doveva dimostrarsi capace di dialogare con i repubblicani, per far comprendere al popolo americano che, come presidente, avrebbe sempre posto l’interesse nazionale al di sopra della politica di partito e così decise di incontrare Nixon. Il New York Times apprezzò la decisione di Kennedy di avvicinarsi ai repubblicani, non escludendo il loro contributo costruttivo.
Kennedy morì assassinato a Dallas il 22 novembre del 1963 mentre viaggiava con la moglie Jacqueline, il governatore John Connally (ferito gravemente) e la moglie di quest’ultimo, Nellie, a bordo della limousine presidenziale. Fu ferito mortalmente nella Dealey Plaza da colpi di fucile sparati dall’operaio attivista ed ex militare Lee Harvey Oswald. La sua morte avvenne pochissimi mesi dopo la morte di papa Giovanni XXIII e, non di rado, girando tra i vicoli delle città più povere del mondo, si notavano, tra le immagini che la povera gente custodiva vicino ai letti, i ritratti dei due uomini potenti tenuti come reliquie. Perché tanta riverenza e tanto amore verso quel presidente Usa? Cosa aveva a che fare un rispetto così esagerato da parte dei più umili verso quell’uomo così distante dai loro affanni quotidiani? Sì, John F. Kennedy, il più giovane presidente USA, bell’uomo, animato da principi di solidarietà sociale, era considerato un progressista fautore di pace e sostenitore dei bisogni dei deboli. La sua elezione segnò un radicale cambiamento nella storia americana e mondiale.
Giornalista