Tra il Seicento e il Settecento, l’attività della tessitura della lana era molto fiorente, un vanto per Cerreto Sannita, un’arte che dal XVIII secolo è andata via via a scomparire, sia perché l’allevamento degli animali da lana cominciava a essere utilizzato perlopiù per il fabbisogno caseario, sia perché le tecniche più moderne e sofisticate di altri centri, anche esteri, riuscirono a soppiantare la manualità viva nel borgo cerretese. Cerreto era zona di pastorizia, sita in un territorio dedito alla transumanza, come buona parte dell’areale sannita. Nel XVII secolo, le pecore cerretesi contribuirono a dar vita a un’attività molto redditizia. Come racconta lo storico Franco, la crescita di pecore fu talmente grande che un’ordinanza proibì l’utilizzo dei terreni del paese per attività affini all’agricoltura: i terreni, infatti, dovevano essere destinati al pascolo.
Un’attività che riguardava la maggior parte delle famiglie: uomini, donne, giovani che si specializzarono nella tessitura e nella cardatura della lana, che riuscirono a creare una vera e propria industria manifatturiera, molto fiorente, vanto della comunità agli occhi dei paesi circostanti, ma anche di centri campani molto più grandi e noti. I pastori erano addetti alla tosatura degli animali, mentre le donne si occupavano della cardatura, filatura e tessitura, e gli uomini, anche quelli più giovani, si occupavano del funzionamento delle macchine industriali. Più soldi si guadagnavano grazie all’attività della lana, più investimenti venivano fatti nell’acquisto di nuove pecore e di altri macchinari. La lana raggiungeva svariati centri campani, ma anche pugliesi e quindi aree più lontane. Essa veniva utilizzata per svariate occasioni, cucita in sartorie specifiche per fini domestici, per la vendita del normale abbigliamento ma anche a scopo militare.
La lana veniva inizialmente unta con olio, di cui il territorio era un egregio produttore, anche per poter essere ammorbidita, fino ad arrivare alla cardatura, filatura e tessitura. Quando il panno era stato sottoposto a questo importante processo, veniva immerso in una soluzione di acqua e soda, e poi infeltrito nelle gualchiere, fabbriche per sodare e follare i panni. Una volta compattato, il tessuto veniva posto su degli attrezzi in ferro che ne permettevano l’asciugatura. Infine, raggiungeva la tintoria.
A Cerreto Sannita vi era la Tintoria Ducale, in dialetto Tenta. Era un edificio che presentava tre stanze, tutte adibite alla colorazione dei tessuti, che avveniva in vasche circolari, con delle stanze annesse in cui erano presenti degli spandituri, sopra i quali venivano adagiati i panni tinti per l’asciugatura. Oggi la Tintoria Ducale è un importante monumento di archeologia industriale cerretese. L’ultima fase della lavorazione era la cartonatura, oggi meglio conosciuta come calandratura: in questa fase, i panni leggermente inumiditi venivano passati fra due piastre di ferro roventi ricoperte da cartoni, a mo’ di pressa, le quali donavano loro un aspetto lucido e una conformazione liscia. Una fase fondamentale prima del confezionamento degli indumenti. Nell’attuale quartiere, oggi detto Cartenera, era presente una importante cartoniera.
Pestilenze ma anche il terribile terremoto del 1688 danneggiarono la fiorente attività.
Giornalista