Compie oggi quarant’anni il concept album The Wall, un’opera rock per certi versi unica, che fece irruzione sulla scena mondiale anche per la potenza dei suoi temi universali e del messaggio che lanciava tutt’oggi tanto, troppo attuale. I muri, quelli fisici, quelli che si creano fra gli esseri umani, muri nel sistema scolastico, muri che si ripetono dopo anni e anni di storia.
L’album “The wall” è l’album di un’introspezione di Roger Waters: il protagonista è Pink, musicista che si scontra con la freddezza ma anche con la grettezza dei rapporti umani. Un dolore ricorrente per la perdita del padre, una madre iperprotettiva, una scuola che lo ha traumatizzato, un matrimonuo fallito e più di tutto le accuse verso le bugie dei governatori politici.
“Another brick in the wall”, ossia un altro mattone del muro rappresenta ogni ostacolo e delusione, è l’emblema di pezzetti di muro che Pink costruisce intorno a sé per proteggersi.
Sono in molti a ritenere che l’idea originale dell’album si possa far risalire a un episodio del luglio 1977. Mentre i Pink Floyd erano in Canada per un concerto, esausti a causa dei complicati rapporti che si erano instaurati con il pubblico, i musicisti interruppero più volte il concerto, perché pressati dalle continue grida degli spettatori, fino a quando Waters urlò “Shut up and stop your bloody screaming”, sputando addosso a un fan che stava provando a salire sul palco.
L’album fu l’undicesimo in studio della band ed ebbe un successo enorme e planetario, divenendo uno dei doppi più venduti nella storia. Si è inoltre posizionato all’87º posto nella lista dei 500 migliori album nella storia della musica. Rinomati e inimitabili gli effetti scenici usati nel tour che seguì la sua uscita.
Giornalista