Settembre è il mese per antonomasia della festa vera e propria del territorio agricolo per eccellenza della Campania: la vendemmia. Il Sannio, ovviamente, non è solo Campania, ma la provincia di Benevento, lo ricordiamo, è quella più vitata della nostra regione, portata a livelli maggiori grazie al progetto di Sannio Falanghina – Città Europea del Vino 2019. La vendemmia riporta a ricordi d’infanzia, a feste e ritrovi di famiglia, a pranzi luculliani ai piedi dei filari. Per molti aspetti assume ancora oggi un momento di rituale, ha un significato sociale, antropologico molto forte. È momento di comunione, di condivisione, nel quale uomini e donne si riuniscono e insieme lavorano per lo stesso obiettivo.
Per giorni e giorni l’impiegato, il commerciante, l’insegnante dimenticano la loro professione primaria per dedicarsi alla terra, a questa nutrice generosa che regala frutti divini. Un ruolo sociale, quello della vendemmia, che molto probabilmente nei decenni passati è stato molto più forte: nei vigneti si riunivano amici, parenti e vicini di casa, tutti insieme a lavorare nelle vigne per poi festeggiare con un ricco banchetto. La vendemmia è il momento di tirare le somme di un’intera annata di lavoro e di fatiche. L’uva è matura e gli agricoltori devono raccogliere il frutto di un intero anno di lavoro, fatto di fatiche non sempre ripagate come giusto che fosse. Spesso il nemico numero uno di tanta fatica è proprio il clima: inverni troppo rigidi o il perdurare della siccità sono certamente condizioni metereologiche che non accompagnano bene nessun tipo di coltivazione e cultivar.
Per vendemmia si intende il momento in cui l’uva coltivata in vigna viene raccolta e trasportata in cantina e da qui, attraverso il processo di vinificazione, trasformata prima in mosto e infine in vino. Il periodo di raccolta, tuttavia, può dipendere da diversi fattori: condizioni climatiche, zona di produzione, composizione del suolo, tipo di uva o tipo di vino che si vuole ottenere. Il momento della vendemmia comporta una conoscenza accurata dell’uva che ci si appresta a raccogliere. Le prime testimonianze della vendemmia risalgono addirittura al 10.000 a.C. nelle zone della Mezzaluna Fertile, dove la raccolta dell’uva si inseriva in una vera e propria cerimonia religiosa di ringraziamento agli dei per i frutti riservati dalla terra all’uomo. Nell’antica Roma, il 19 agosto si celebrava la cosiddetta Vinalia Rustica, festa in onore di Giove che dava ritualmente inizio alla vendemmia. L’uva veniva stralciata a mano, con strumenti simili a coltelli, depositata in piccoli recipienti e poi riversata nelle lacus vinaria. Allora come ora, nei giorni della vendemmia tutte le altre attività erano sospese: l’intera famiglia o cerchia di parenti e amici si riuniva per dedicarsi unicamente al lavoro nei campi. Da qui il carattere sociale e conviviale di questa attività pensata anche per unire, per festeggiare e per trascorrere del tempo insieme.
Nei decenni passati era tanta la fatica fisica; non che oggi sia più semplice, eppure un tempo tini, tinozze e cesti venivano caricati su carri trainati dai buoi e alle prime luci dell’alba ogni famiglia contadina si avviava verso la campagna per iniziare il lavoro. Una volta raggiunti i campi si scaricavano tutti gli attrezzi necessari. Ci si accingeva a riempire di grappoli d’uva cesti e secchi che venivano staccati dai tralci della vite con forbici o coltelli. Il momento del pranzo era un rituale irrinunciabile: le donne trasportavano nei vigneti cesti ricolmi di vivande caserecce che venivano disposti su una tovaglia distesa sul verde prato, ancora umido o bagnato dalla brina. Oggi come oggi i trattori hanno sostituito i carretti trainati dai buoi e, per fortuna, i trasporti sono più celeri e organizzati.
Il nostro Sannio, soprattutto nelle zone prettamente agricole, è abituato a svegliarsi sempre molto presto. Castelvenere, Guardia Sanframondi, Torrecuso, la zona del Taburno, Sant’Agata de’ Goti fanno dell’economia del vino la loro più grande risorsa. I trattori viaggiano già alle prime luci del mattino, e gli agricoltori raggiungono i loro terreni di buon’ora per non far salire troppo il sole a capolino. Il periodo della vendemmia, invece, è particolare. Non solo le stradine di campagna, anche quelle principali si riempiono di trattori che vanno e vengono: file e file che arrivano, caricano, trasportano, scaricano. Quell’odore di mosto di carducciana memoria, quei vicoli e selciati dei borghi sanniti che profumano di vinello fresco, novello, fermo o frizzantino. Già a fine agosto comincia questo antico rito che vedeva Egizi, Greci, Romani, tutti a pigiare l’uva.
La festa della terra, dei frutti che rendono ricco il nostro Sannio, la festa delle feste. La festa della comunità, della famiglia, di quei ragù che sobbollono già alle quattro del mattino per poter tornare dalla campagna e trovare il pranzo pronto, quando il pranzo non viene consumato ai piedi dei filari, o all’ombra di un centenario albero di ulivo, che comincia a manifestare i suoi frutti per la prossima raccolta, con i bambini che giocano a rincorrersi e a contare i grappoli d’uva nelle loro bacinelle. O gli stessi bambini che si divertono a salire sui trattori o camion ricchi di acini e grappoli, a pigiarli, a saltarci sopra. Uve pronte a essere staccate dai loro tralci già a fine agosto, e poi trasportate, e infine lavorate. Famiglie intere che la sera guardano il cielo e invocano il bel tempo e, nel caso in cui la pioggia dovesse fare capolino, fino all’ultimo minuto sperano nel vento che spazza via ogni nuvola e goccia. Una festa tradizionale che ha il sapore dell’antica arte agricola, dove il buon Bacco veniva osannato e venerato e le tradizionali danze popolari prendevano forma e manifestazione nei colori più belli di un autunno che faceva capolino. Un territorio che si avvia a divenire il fiore all’occhiello dell’enoturismo campano, dove visite a cantine, a bottaie, passeggiate nei vigneti, degustazioni open air ci fanno sentire davvero al centro di una fiaba di altri tempi.
Giornalista