Il visitatore attento ormai ha capito che nel Sannio il buongusto è all’ordine del giorno.
Uno degli storici protagonisti culinari del capoluogo sannita è il progenitore del torrone, la cupedia, conosciuta già al tempo dei Romani, la cui paternità viene attribuita addirittura ai Sanniti, almeno stando ad alcuni scritti di Tito Livio. Marco Valerio Marziale, celebre poeta latino, parlò della cupedia come uno dei cinque prodotti rappresentativi di Benevento nel I secolo. Benevento era ed è conosciuta anche come la città delle cinque C, ossia Carduus et cepae, cardone e cipolle, Celebrata, la cervellata, la Cupedia, la cupeta e Chordae, le corde. Il venditore ambulante di Cupedia veniva chiamato cupetaro.
La cupedia classica è un composto a base di miele, albume d’uovo, mandorle o nocciole, amalgamati tra loro e cotti a bagnomaria. Una leggenda tramandata oralmente fa legare la nascita della cupedia ai Sanniti. Sembra che, dopo l’umiliazione dell’esercito romano presso le Forche Caudine, gli epici vincitori abbiano inventato il dolce proprio per consolare i vinti. Quando si diffuse il torrone, a Benevento la cupeta era di casa da almeno un millennio ma questi ne era una versione più raffinata, ricoperta da naspro o anche da granella di zucchero.
Gli ingredienti base per la realizzazione della cupeta sono pochi e semplici, ossia mandorle sgusciate e pelate, zucchero e miele anche se alcune varianti aggiungono altri elementi, come il sesamo, la farina o il vino cotto, o l’aroma di vaniglia. L’aspetto finale della cupeta deve essere quello di una stecca di mandorle immerse nel caramello solidificato, quindi bisogna affilare i denti! La cupeta può essere nera, bianca o macinata e la differenza sta nel fatto che la prima è realizzata con le mandorle ancora coperte dalla loro buccia, la seconda invece con mandorle spellate, e la terza infine con le mandorle pelate e tritate.
Per cucinare la cupedia si deve usare il polsonetto, un tipo particolare di casseruola in rame di forma semisferica, con il manico di legno, che in pasticceria viene usata proprio per cuocere il croccante, ma anche altri dolci come ad esempio lo zabaione o creme. All’interno vi si versa lo zucchero, che deve essere allungato con un po’ di acqua affinché si sciolga in uno sciroppo piuttosto denso, si pone sul fuoco a fiamma viva, finché lo zucchero non comincia a caramellare, assumendo un bel colore ambrato. In seguito si versano le mandorle, intere o tritate, in un quantitativo più o meno simile a quello dello zucchero impiegato e si continua a tenere sul fuoco finché lo zucchero non fa più schiuma, ma appare limpido, e il contenuto del polsonetto può essere versato su un ripiano di marmo ben unto di olio. Con una spatola si lavora il composto prima che solidifichi, dandogli la forma di una stecca rettangolare. A questo punto la cupedia è pronta per essere mangiata, tagliata in panetti che poi si confezionano e si vendono. Altre varianti possibili vedono l’utilizzo di pistacchi invece che mandorle, ma per tutte il vino ideale per accompagnarne il consumo è il passito.
Giornalista