Benvenuti nel Sannio: l’eccidio dei Savoia a Pontelandolfo e Casalduni

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Raffigurazione degli atti di brigantaggio a Pontelandolfo.
Foto di repertorio

Benvenuti nel Sannio oggi vi conduce in una triste pagina di storia dell’entroterra sannita. Solo cinque mesi dopo la proclamazione del Regno d’Italia, in diversi i territori che appartenevano all’ormai ex Regno delle Due Sicilie si verificavano costantemente casi di resistenza di matrice filoborbonica contro il neonato Stato Sabaudo. Rivolte e piccole o grandi forme di protesta, atti rivoluzionari in cui si alzavano polvere e grida. Cittadini o militari manifestavano scontentezza perché erano convinti che con l’Italia unita ci sarebbero state migliorie che in realtà non arrivarono mai. I cittadini, infatti, si sentivano più protetti e garantiti dallo Stato di Piemonte che da uno di matrice più democratica. La vita, specie dei contadini, non migliorò affatto e, proprio a causa di tale scontentezza, vennero a formarsi diverse bande di brigantaggio, specie nel centro-sud Italia.

Uno di tali episodi di scontentezza e dissenso si verificò il 7 agosto 1861 quando circa 50 componenti della brigata Fra Diavolo, capeggiati da Cosimo Giordano, ex sergente di Francesco II di Borbone, occuparono i paesi di Pontelandolfo e Casalduni, nella piccola provincia di Benevento, entroterra sannita a sud del Matese, issando la bandiera borbonica e proclamando un governo provvisorio. Appena giunsero alle porte dei due paesini beneventani, questi furono catturati dai briganti coadiuvati dalle popolazioni del posto. Un solo destino li attendeva, diverso da quello che si erano prefissati: la morte. La notizia arrivò subito al Generale Enrico Cialdini che pretese immediatamente vendetta: “Li voglio tutti morti! Sono tutti contadini e nemici dei Savoia, nemici del Piemonte, dei bersaglieri e del mondo. Morte ai cafoni, morte a questi terroni figli di puttana, non voglio testimoni, diremo che sono stati i briganti”.

Casalduni fu trovata in stato di quasi totale desertificazione, poiché i cittadini ebbero tempo di organizzarsi per poter scappare. Infatti, erano stati avvertiti in tempo della rappresaglia in corso. Pontelandolfo, invece, fu vittima di una sorte più inclemente, un destino triste e violento che si abbatté sulla sua gente colpita nel cuore della notte, sorpresa nel sonno, con il saccheggio, la distruzione e l’incendio di case e chiese, oltre alla fucilazione di tante persone. Stupri, atti di violenza, percosse e tantissime donne uccise. Anche i bambini furono vittime di tanta strage e follia, molti di loro furono arsi vivi in quelle case da loro ritenute sicure, ma che invece andavano in fiamme, senza sosta alcuna. I due paesi furono interamente rasi al suolo, proprio come da ordine del generale Cialdini. Non si conosce il numero esatto dei caduti, tante cifre, tante ipotesi, numeri che si alternano nei libri di storia e che si sovrappongono gli uni agli altri: qualcuno parla di 400 vittime, qualcuno addirittura di 1.000 morti. Il 14 agosto 2011, Giuliano Amato, presidente del comitato per le celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia, ha fatto pervenire le scuse ufficiali dello Stato Italiano, facendo porre una lapide nei luoghi della strage: “A nome del presidente della Repubblica Italiana vi chiedo scusa per quanto qui è successo e che è stato relegato ai margini dei libri di scuola”.