Sannio beneventano o pentro? Non solo, per Sannio intendiamo anche quello matesino, o alifano, raccoglitore di preziose testimonianze storiche e archeologiche da raccontare e visitare. In pieno periodo di guerre sannitiche, esattamente la seconda, il teatro delle operazioni che videro come protagonista, nella sua vastità, proprio il territorio matesino, terra di passaggio di due eserciti in lotta. I Romani, fin dal 326, avevano occupato Rufrae (Presenzano), Allifae e Callifae. La zona alifana era considerata “la porta da cui i Sanniti dilagavano di solito nella Campania”, e un presidio romano fu assediato a Cluvia. Come racconta Livio, Cluvia aveva delle mura, una popolazione civile, non era grande, “ma era posta in posizione strategica di grande importanza… sulla via che menava dalla Campania a Boiano dei Pentri”. Era senz’altro uno dei tanti castelli conquistati dal console C. Marcio Rutilo nel 310 e certamente non poteva sorgere in un luogo troppo isolato o troppo distante dalla linea Alife-Bojano. Si sa soltanto che questo borgo fu distrutto e alcuni nuclei familiari, la gens Cluvia, si trapiantò in Alife, trovando lustro e dando il via a importanti e gloriose carriere.
Il Matese aveva certamente una posizione strategica fondamentale. I Sanniti, montani atque agrestes, robusti e montanari, erano un popolo valoroso, non cedeva. Cominciò un gioco di perdite e riconquiste con i Romani, finché nel 307 vi fu una terza battaglia presso Alife nella quale si lottò corpo a corpo per un’intera giornata. I Sanniti avevano esaurito le loro forze, salirono sui monti matesini, ma la maggior parte di loro si chiuse in accampamenti, arrendendosi subito, di lì a qualche ora. Un episodio delle Forche Caudine all’inverso, in cui i “Sanniti montanari e agresti” si curvarono sotto il giogo dei Romani: hi omnes sub jugum missi. Settemila di loro furono venduti come schiavi, cominciando a ridurre in miseria il fiero popolo italico. “Si faceva la miseria dei Sanniti”, con i Romani che non avevano alcuna pietà: niente più prigionieri sotto il loro sigillo, ammazzavano crudelmente, falciavano, in quelli che, come descrisse Livio, loro stessi consideravano luoghi aspri, pericolosi, terribili. Un territorio ormai in mano ai Romani. Eppure, la latinizzazione avvenne con grande ritardo. Cominciò all’epoca della colonia in Alife nel I secolo, e fu completata solo con l’Impero. Dopo secoli, ancora non si parlava latino ma osco.
ALIFE – Siamo nel bel mezzo di una terra altamente fertile, ricca di paesaggi campestri suggestivi. Si tratta di un paesino che ha poco più di 7.000 abitanti, ma che può fregiarsi del titolo di Città, facente parte della Comunità Montana del Matese. Quando i Romani presero il posto dei Sanniti, fondarono Allifae, secondo il consueto schema dell’architettura militare, ossia pianta rettangolare con isolati scanditi da moduli anch’essi rettangolari. L’esatta pronuncia sabellica dovrebbe essere ALIPHA; su una moneta d’argento del IV a.C. la forma osca è grecizzata in ALIOHA. In greco è Ἀλλιφαί, secondo Strabone e Diodoro Siculo, Ἄλλιφα secondo Tolomeo. Nel Medioevo circolarono anche varianti come Alifia e Alifi. Il termine greco Elaias (oliva) sembrerebbe essere l’origine più plausibile del termine latino Aliphae, molto probabilmente riferendosi all’antica varietà di olivo autoctona tonda allifa. Fu in età imperiale che Allifae conobbe il suo massimo splendore: in tal periodo fiorì una rigogliosa attività commerciale che portò a una grande riqualificazione urbana, con la costruzione dell’anfiteatro e delle terme pubbliche, oltre a numerose ville decorate con grande sfarzo. Il modo migliore e più suggestivo per visitare Alife è incamminarsi in una piacevole e suggestiva passeggiata. Un luogo che ha tutte le più belle attrattive a portata di mano, con un percorso molto agevole e accessibile a tutti.
“Il suo centro storico è completamente circondato dal rettangolo delle Mura Romane di epoca sillana (I sec. a.C.), e conserva la tipica conformazione urbana del castrum, strutturata su cardini e decumani… Le due strade maggiori del centro storico, inoltre, lo suddividono in quattro rioni detti “Quarti”… Le Mura sono rinforzate, lungo tutto il perimetro (che misura 540 × 410 m), da torrette, equidistanti tra loro, di forma semicircolare e rettangolare, alternate. Criptoportico, imponente costruzione ipogea”. Così ce la racconta Wikipedia. Di fronte al Municipio, sulla strada che portava a Benevento, sorge il Mausoleo degli Acilii Glabrioni, struttura nobile e imponente di forma cilindrica, che fino al secolo scorso è stata utilizzata come chiesa, col nome di cappella di San Giovanni Gerosolimitano, tanto che era anche conosciuto come Torre di San Giovanni. Era un monumento funerario attribuito alla nobile gens alifana. Si prosegue verso i resti dell’anfiteatro romano di Alife, costruito probabilmente in età augustea, recuperato di recente grazie agli scavi del 1987 e del 2007, di cui, purtroppo, restano pochi elementi. Anche il Criptoportico di Alife, imponente costruzione ipogea, è probabilmente di età augustea, e aveva l’importante funzione di contenere e immagazzinare le derrate alimentari. Oggi è conservato in maniera perlopiù integra. Vari i sepolcri, disseminati in tutto l’ager allifanus, lungo il percorso dell’antica Via Latina che attraversava la città e il suo territorio. I meglio conservati sono il Torrione, quello di via Campisi e quello su cui è stato edificato il santuario della Madonna della Grazia. Parco delle Pietre, in Piazza Salvo D’Acquisto, conserva epigrafi, pietre lavorate, sarcofagi e resti di tombe del periodo romano. Nel giardino pubblico di piazza della Liberazione si conserva anche un impluvium, proveniente da una domus romana. Lapidi, resti di mosaici, colonne, epigrafi e altro sono sparse in tutto il territorio. Nel giardino di un’abitazione privata in piazza Vescovado sono visibili i resti del Teatro.
Il Museo archeologico di Alife contiene reperti recuperati sul territorio, oltre alla collezione denominata Antiche genti alifane. Bellissimi i reperti di tradizione etrusco campana, come il vasellame che richiama il banchetto funebre, oggetti in ferro e bronzo quali armi, fibule, anelli e bracciali. Vi è esposto anche parte di un affresco in IV stile proveniente da una domus romana che si trovava lungo il decumanus maximus della città antica, mentre in una sala sottostante sono presenti frammenti di pavimenti a mosaico con decorazioni geometriche bianco-nere databili tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., anch’essi derivanti da case della città antica. Il castello medievale ha una struttura a pianta a quadrilatero con torre sugli spigoli, caratteristica dei castelli a cittadella, nella quale era una corte interna ove si svolgeva gran parte della vita sociale. Dalle torri si poteva controllare una vasta parte del territorio circostante. Il fortilizio, negli anni, è stato preda di attacchi, devastazioni e ricostruzioni. Infine, la cripta normanna è un ambiente sacro ipogeo edificato, insieme alla cattedrale, dal conte Rainulfo per ospitare le reliquie del patrono San Sisto.
PIEDIMONTE MATESE – È una cittadina di origine medievale, il cui abitato, interessato da una significativa espansione edilizia, sorge nel punto di confluenza di tre vallate pedemontane. Fu fondata nel IX secolo d.C. dai Longobardi ma numerose testimonianze archeologiche documentano la presenza dell’uomo fin dall’epoca neolitica, come testimoniato dai reperti archeologici (armi litiche e terrecotte) e dai resti delle mura megalitiche. Appartenne, tra gli altri, ai D’Aquino, ai Della Leonessa e ai Gaetani; questi ultimi la tennero dal 1383 fino al 1806, ossia l’anno dell’abolizione della feudalità. Il toponimo, che è stato Piedimonte fino al 1862 e Piedimonte d’Alife fino al 1970, allude alla posizione dell’abitato. Il monte Cila, alle cui falde sorge l’attuale centro abitato, è il monte che in epoca sannitica ospitava un insediamento, forse proprio la succitata Cluvia. Fra i resti archeologici rinvenuti vanno annoverati il Corridore del Cila e lo Zeus del Cila, due antiche statuette conservate nel Museo civico Raffaele Marrocco assieme ad altri 170 reperti provenienti dall’area del Monte. Nel IX secolo si formò il primo nucleo abitato di Piedimonte, stretto attorno alla chiesetta di san Giovanni e situato in posizione dominante e di controllo della Piana Alifana e della Valle del Volturno. Nell’arco del secolo successivo la popolazione del piccolo insediamento aumentò grazie ai profughi provenienti dalla piana alifana, devastata dalle incursioni saracene. Con i normanni la cittadina accrebbe a baronia.
Il Palazzo ducale dei Gaetani d’Aragona, rifatto agli inizi del secolo XVIII, conserva della precedente costruzione alcune finestre ogivali, un portale del Seicento, uno del secolo XV e stucchi e dipinti del secolo XVII. Il Museo Civico Raffaele Marrocco è intitolato al suo fondatore, storico della zona che si adoperò per istituirlo nel 1912 e per redigerne il primo catalogo. La biblioteca comunale Aurora Sanseverino risale agli anni Novanta del secolo scorso ed è collocata nella villa comunale. Le pareti esterne sono decorate con murales di Giovanni Timpani raffiguranti persone illustri del passato di Piedimonte. La biblioteca diocesana San Tommaso d’Aquino, invece, è nata nel 1990 dall’unione dei fondi librari dell’antica biblioteca del seminario, risalente al 1696, e della Biblioteca dell’Istituto di Scienze Religiose. Ha circa 23mila volumi con due settori specialistici, uno dedicato alla produzione teologica post concilio Vaticano II e un’altra alla storia locale.
Per finire, dedichiamoci alle gioie del palato, gustando le prelibatezze tradizionali basate tutte sulle eccellenze del territorio. Tra queste la cipolla alifana e il fagiolo cerato, oltre ai ciceri e tagliarielli, pancotto con friarielli e salsiccia di maiale nero, zuppa del cannavinaro, caciocavallo di bufala e ricotta con marmellata di cipolle alifane. Non dimentichiamo di condire il tutto con l’eccellente olio extravergine delle colline matesine e di accompagnare il lauto pasto con un ottimo vino Pallagrello. Una curiosità: sembra che la cipolla alifana fosse già conosciuta in epoca romana. Secondo i racconti storici, pare che i gladiatori le strofinassero sul loro corpo per renderlo più tonico. Una sorta di scrub dei tempi andati. Molte le proprietà organolettiche e terapeutiche: è antibatterica e antibiotica, oltre che un potente diuretico e decongestionante.
Giornalista