Il Molise ha le montagne più pure e incontaminate d’Italia e il massiccio più antico è quello del Matese, con le sue cime alte fino a 2.000 metri. Il Matese è ricco di fiumi, torrenti e boschi ad alto fusto, e cerri, aceri, querce e abeti sono i suoi meravigliosi protagonisti. Sul suo versante molisano, il massiccio del Matese è anche famoso per il fenomeno del carsismo, con le sue grotte meravigliose e tra le più importanti in Italia, meta di numerosi speleologi e visitatori. Altra importante catena montuosa del Molise è quella delle Mainarde, con vette ancora più elevate rispetto al Matese, boschi di faggio e abeti. Sono montagne molto antiche, di origine calcarea, su cui vento e acqua hanno lasciato numerose tracce, formando gole, calanchi e le bellissime marmitte giganti.
La principale località turistica matesina è Campitello Matese, frazione del comune di San Massimo situato nel cuore dell’Appennino molisano e, in particolare, alle pendici del Monte Miletto, con i suoi 2050 m.s.l.m.. Il suo pianoro è situato proprio all’interno del Massiccio del Matese, e alle sue spalle si erge il monte Miletto, la cima più alta del massiccio. Altri importanti montagne sono il Monte Croce e La Gallinola. Fino agli anni Sessanta a Campitello vi era un solo stabile, il Rifugio Iezza (oggi albergo-ristorante) utilizzato come ricovero dai pastori per le greggi. Già in quel periodo le prime comitive cominciavano a salire per sciare e per poter trascorrere i loro giorni di villeggiatura.
Negli anni Settanta vi fu il boom turistico che portò alla realizzazione di molte delle strutture ancor oggi presenti, oltre alla realizzazione della nuova strada che parte da San Massimo, e sempre in quegli anni venne progettata la stazione sciistica. Campitello Matese è circondato da paesaggi incontaminati, ed è una delle località turistiche più importanti del Molise, noto soprattutto per la presenza delle stazioni sciistiche più innevate dell’Italia centro-meridionale. In questo periodo invernale, la sua ampia rete di piste è l’ideale per chi ama lo sci e le attività sportive sulla neve, mentre i suoi boschi silenziosi, pieni di pace, e le sue estese faggete sono l’ideale per chi ama passeggiare con le racchette da neve nel silenzio della natura e contemplare ciò che essa ci regala. Nella stagione estiva, Campitello è un ottimo punto di partenza per escursioni naturalistiche nel Matese, e per gite che ci facciano trovare pace, riflessione e frescura. Dal paese parte una seggiovia che sale fino al monte Miletto, da cui si gode di una splendida vista su tutta l’area circostante, e nei giorni più nitidi è possibile vedere il Vesuvio, il Mar Tirreno, il Mar Adriatico e la sagoma del Tavoliere delle Puglie. Il comprensorio sciistico dispone di 40 Km di piste e sette impianti di risalita (tre seggiovie, tre skilift e un tapis roulant). Le piste sono ben collegate tra loro e partono dalla piazza della località, a pochi metri dai numetosi alberghi presenti, e raggiungono i 1890 metri. Le due piste maggiormente frequentate, la Del Caprio e la Cristallo, hanno ricevuto l’omologazione della federazione internazionale di sci (F.I.S.) e possono essere utilizzate per disputare gare di Coppa del Mondo.
Campitello Matese offre tracciati e pendenze per tutti i livelli e per tutti i gusti, che possono accontentare sia lo sciatore esperto che il principiante. La località è nota agli appassionati di ciclismo per essere stata più volte sede di arrivo di tappa del Giro d’Italia: la prima nel 1969, l’ultima nel 2015. È uno degli arrivi in salita più difficili dell’Appennino.
L’altra importante località climatica e sciistica del molise è Capracotta, a oltre 1400 m.s.l.m.. Dopo il comune abruzzese di Rocca di Cambio, è il comune più alto dell’Appennino. Le origini del suo nome sono legate a una leggenda che racconta che alcuni zingari avessero deciso di bruciare una capra come rito di fondazione, proprio nel luogo in cui avevano deciso di costruire la loro città. La capra fuggì sui monti e lì morì, proprio dove gli zingari decisero di fondare la città. Secondo alcuni studiosi, però, Capracotta deriverebbe dal latino castra cocta, accampamento militare, riferendosi probabilmente a un distaccamento romano che ebbe lì la sua sede di controllo nella valle del Sangro. Le più antiche tracce umane risalgono al periodo Musteriano, ma il primo insediamento è datato IX secolo a.C.. Scavi archeologici hanno portato alla luce capanne circolari e edifici in marmo, risalenti al I sec. d.C., nei pressi di Fonte del Romito, insediamento esteso fino a che un violento incendio interruppe la sua crescita. Fu dominata dai Longobardi e poi dagli Aragonesi e in seguito dai Savoia, e con l’unità d’Italia e l’aumento delle tasse esplose il brigantaggio. Durante la II guerra mondiale, il paese venne raso al suolo, si salvarono solo la scuola, l’asilo infantile e alcune case private. La popolazione sfollò e nel 1945 gli esuli tornarono in paese e lo ricostruirono.
Negli anni Quaranta, Capracotta ha acquisito una certa valorizzazione del suo territorio come località sciistica. La sua offerta turistica si è arricchita sin dal 1997 con la realizzazione di un comprensorio per lo sci alpino lungo le pendici di Monte Capraro. Per lo sci di fondo, basta recarsi a Prato Gentile. Le sue piste sono state scelte spesso come sede di gare nazionali e internazionali (Campionati Nazionali Assoluti di Sci di Fondo 1997 e la “Continetal Cup” nel 2004 e nel 2008). Particolarmente rilevante è stata la realizzazione di una pista di media difficoltà, la rossa, con tratti adatti a soddisfare le esigenze di tutti gli sciatori. La pista principale è esposta a Nord, per cui gode sempre di un sufficiente innevamento e di una neve di ottima qualità in uno scenario incantevole costituito da un bosco di faggi. I principianti hanno la possibilità di poter muovere i primi passi sugli sci lasciando la seggiovia, che ha una portata di 720 passeggeri all’ora, alla stazione intermedia e utilizzando un tratto di pista blu lungo circa 300 m.
A Capracotta è incontrastata una vegetazione tipicamente appenninica con un raro esempio di bosco di abeti bianchi una bellezza mozzafiato caratterizzata dal Giardino di Flora Appenninica. Questo si trova a oltre 1500 metri, con i suoi dieci ettari circa di estensione, ed è un raro esempio di orto botanico la cui vegetazione è totalmente legata alla spontaneità e alla creatività della natura. Sono 300 le specie che compongono il giardino, e si tratta della più bella flora dell’Appennino, molto suggestivo specie per il gran numero di colori nel periodo della fioritura. Qui sono conservate e tutelate le specie vegetali della flora autoctona dell’Appennino centro-meridionale e, grazie alle diverse caratteristiche del terreno, ospita numerosi habitat naturali dal palustre al rupicolo, come la faggeta, l’abetina, il legno morto, la vegetazione palustre.
Capracotta è detto il paese delle bufere, perché nei rigidi mesi invernali non è difficile imbattersi in bufere con nevicate superiori al metro di altezza. Sul pianoro di Prato Gentile, la prima domenica di agosto, i cittadini di Capracotta organizzano una manifestazione che ha nella Pezzata la protagonista indiscussa: ė un piatto tipico dei pastori a base di carne di pecora bollita e condita con patate, pomodori ed erbe aromatiche, che esaltano i sapori della carne.
Ecco la ricetta. Ingredienti:
1 kg di spalla di pecora, una cipolla, 500 g di pomodori pelati, 1 peperoncino, rosmarino q.b., prezzemolo q.b., olio extravergine d’oliva q.b., sale q.b., pepe q.b.
Versare l’olio in una casseruola capiente e farvi rosolare la cipolla tritata finemente per 5 minuti, dopodiché aggiungere i pelati spezzettati con una forchetta e il peperoncino finemente tritato. Completare con il rosmarino e il prezzemolo tritato, poi unire la spalla di pecora tagliata a tocchetti e far cuocere per 5-6 minuti. Aggiustare di sale e pepe, dopodiché versare l’acqua necessaria per coprire la carne e proseguire la cottura per 2 ore a fiamma bassa e coprendo la casseruola con il coperchio. Durante la cottura, non bisogna scoprire la pentola, ma scuoterla di tanto in tanto dai manici. A cottura ultimata, spegnere il fuoco e mescolare la carne, spostarla nel piatto da portata e servirla calda. La pentola va smossa dai manici evitando di mescolare la carne con il mestolo: in questo modo si evita di sfaldarla. La tradizione vuole che per la cottura si utilizzi un recipiente speciale tipico della cultura molisana: u cutrilloccia oppure u cuaccaviegie. Si tratta di un recipiente di rame a chiusura ermetica che consente di abbreviare i tempi di cottura. Ottimo piatto da gustare con crostini di pane tostato.
Giornalista