Immagini dal Sannio: Cerreto Sannita, città pensata e di fondazione

postato in: Immagini dal Sannio | 0
Condividi articolo
In copertina, Cerreto Sannita vista dall’alto.
Foto di Antonio Castellitto

Quella del 5 giugno 1688 è la data che ha cambiato radicalmente la storia, la fisionomia, l’impianto urbanistico del Sannio. Era un sabato, vigilia della Pentecoste, attorno alle ore 20 dell’ora canonica: il terremoto fu violento e provocò distruzioni e gravissimi danni nell’area dell’Appennino molisano e campano che dai monti del Matese si allunga al Beneventano e all’Irpinia. Il Sannio fu la zona più colpita, a nord-ovest di Benevento e a sud-ovest dei monti del Matese: il paese di Cerreto Sannita fu probabilmente l’epicentro, tanto che, insieme a Civitella Licinio e Guardia Sanframondi, fu completamente raso al suolo. Qui, infatti, l’intensità della scossa arrivò al grado 11 della scala Mercalli, tra le più alte rilevate nella intera storia sismica italiana. Altri venti paesi e villaggi siti nelle attuali province di Benevento e di Avellino furono quasi completamente distrutti. Tutti i centri della zona furono in seguito ricostruiti proprio dove sorgeva il vecchio nucleo abitativo, spesso attorno ai fortilizi che si trovavano nei luoghi.
La storia della ricostruzione di Cerreto Sannita è completamente diversa, esempio eccezionale, una rarità, quasi un unicum per il tempo che fu.

La vecchia Cerreto, infatti, non si trovava dove oggi sorge il borgo sannita, luogo di cultura e di bellezza. Sappiamo che il paese fu abitato già nella preistoria, come testimoniato dagli scavi archeologici presso la bellissima Leonessa, la Morgia Sant’Angelo che, ai limiti delle contrade Cerro e Cese, volge le spalle al monte Coppe. Acquisì un ruolo di fondamentale importanza quando, a seguito del terremoto del 1349, la città di Telesia cominciò il suo lento declino, per via delle asfissianti esalazioni che provenivano dal suolo. I superstiti, per evitare di andare incontro alla morte, si trasferirono nei centri più vicini. Anche i vescovi abbandonarono Telesia e vagarono nella diocesi in cerca di una dimora stabile che, alla fine, trovarono nel XVI secolo a Cerreto.
Tito Livio scrisse di una Cominium Ocritum, che oggi potremmo collocare nei pressi di monte Cigno, a pochi chilometri dal paese. Nel periodo romano, probabilmente dopo le guerre sannitiche, un nucleo abitativo si stanziò alle pendici del monte Coppe, mentre nel periodo longobardo e in seguito normanno vi fu la costruzione del castello, con i Sanframondo che ne furono i primi feudatari.

Dell’antica Cerreto, quella prima del terremoto del 1688, restano visibili pochi ruderi fra cui il Torrione che aveva funzioni carcerarie, e la Tinta, antico opificio, oggi straordinario esempio di archeologia industriale, realizzata nel 1712. I feudatari del periodo della ricostruzione post terremoto, invece, furono i Carafa, che la eressero a “Civitas totius superioris state metropolis”, ossia città capoluogo della contea superiore.
I signori di Cerreto e il vescovo De Bellis decisero di ricostruire la cittadina più a valle, non dove un tempo sorgeva il castrum, l’antico abitato. Non più, quindi, un paese arroccato attorno al castello, come accaduto con altri paesi del vicinato, tra i quali la bella Guardia Sanframondi, ma un impianto urbanistico assolutamente nuovo. Non si trattò di una scelta presa alla leggera, ma fu una scelta precisa, ponderata, “pensata”. Si decise di analizzare accuratamente il terreno della zona, tramite la maestria e la bravura di tecnici e periti che decisero che il terreno dove sorge l’attuale centro fosse il più sicuro, o almeno migliore rispetto a quello dove era l’antico abitato, poi raso al suolo. Questo è il motivo per cui Cerreto viene definita Città di fondazione, e appunto pensata, il cui nucleo urbano e abitativo non è nato spontaneamente, ma sulla base di una precisa volontà, di una scelta ponderata, con una precisa conformazione geometrica nel suo progetto urbanistico.

La nuova Cerreto fu ricostruita grazie al lavoro dei migliori tecnici dell’epoca, scelti con cura dai feudatari. Il più grande esperto fu l’architetto Giovan Battista Manni, che mise sul campo la conoscenza delle più importanti innovazioni architettoniche, cominciando a pianificare il centro abitato con la costituzione di tre strade parallele che si intersecavano con strade più piccole e che spesso andavano a terminare in grandi piazze. Tutto il contrario del vecchio nucleo abitativo, caratterizzato da stradine strette e palazzi molto alti. Con Manni, invece, grande attenzione venne data anche nella realizzazione degli edifici, pubblici e privati, che avevano soltanto un piano terra e uno superiore. Questa innovazione non fu sempre vista bene dai cittadini del borgo. I sopravvissuti al terremoto, infatti, si dimostravano sovente abbastanza riottosi perché non volevano allontanarsi dalla loro vecchia residenza e desideravano ricostruire case e riprendere la loro vita quotidiana nella zona dove avevano vissuto fino ad allora. Il Carafa non accettò tali tentennamenti e spesso obbligò i cittadini ad accettare la sua decisione, talvolta arrivando a ostentare anche atti violenti.
Cerreto fu ricostruita in soli otto anni e i signori misero in piedi anche un certo spirito imprenditoriale, fornendo prestiti, a interessi zero per i primi tre anni, a tutti coloro che avessero intenzione di costruire case nel territorio urbano, proprio per dar vita a un veloce ripopolamento della cittadina. Inoltre, tramite apposito contratto, i nobili si assicurarono la gestione di tutte le attività commerciali del paese, come alberghi, osterie, piccole aziende e attività commerciali.

La cattedrale e piazza Luigi Sodo in una foto d’epoca.
Immagine di repertorio

Cerreto Sannita è tra i comuni più belli della Campania: il suo centro storico aperto regala emozioni incomparabili, grazie alla bellezza dei suoi pittoreschi scorci, in stile tardo barocco. L’affluenza di signorotti e uomini illustri da Napoli, nel periodo della ricostruzione, fece sì che la maggior parte dei suoi palazzi a un piano fossero simili a quelli del Barocco napoletano. Spesso viene chiamata La piccola Torino, perché il suo schema interno a scacchiera è fortemente somigliante al centro storico del capoluogo piemontese, come notò un funzionario borbonico che le fece visita nel 1842. Numerose, importanti e caratteristiche sono le sue chiese: la Cattedrale, probabile opera di Bartolomeo Tritta, autore anche del monumentale scalone della chiesa di San Martino, la cui costruzione ebbe inizio nel 1691; la Collegiata di San Martino, costituita nel 1544 a seguito dell’unione di sei parrocchie; la chiesa di Sant’Antonio, la chiesa di Maria SS. di Costantinopoli, la sconsacrata chiesa di San Gennaro, oggi sede del Museo Civico di arte sacra, la chiesa di Santa Maria Monte dei Morti, la chiesa di San Rocco, l’ex Monastero delle Clarisse, il Santuario della Madonna delle Grazie, e chiese dedicate a Sant’Anna, a San Giovanni Battista, alla Madonna della Libera, alla Madonna del Carmine, a San Giuseppe e alla Madonna del Pianto.

Tra gli illustri edifici, il Palazzo del Genio, che oggi ospita la Biblioteca del Sannio, la Taverna Ducale, il Palazzo Sant’Antonio, sede degli uffici comunali e del Museo Civico e della ceramica cerretese, il Palazzo vescovile e il Seminario diocesano, sede anche della Biblioteca diocesana, in cui sono raccolti oltre 10mila volumi. Ancora, il Monte di Pietà, il Palazzo Ciaburro, che ospita la Comunità Montana del Titerno, Palazzo Ungaro, Palazzo Carizza e molti altri.
La ceramica tradizionale è pregio e vanto della cittadina che custodisce nel Museo i suoi manufatti storici e coltiva nelle tante botteghe artigiane un’arte antica tramandata ancora oggi di padre in figlio. Non possono sfuggire, ai visitatori attenti, le edicole votive che si trovano esternamente e internamente alle semplici case del paese, proprio a testimonianza di una forte devozione, ma anche dell’importanza dell’arte tramandata da secoli dai maestri figulini.
Proprio perché città pensata, dal 2005 Cerreto Sannita viene riconfermata Bandiera Arancione del Touring Club Italiano, riconoscimento dato ai piccoli borghi dell’entroterra che non superano i 15mila abitanti e che si distinguono per accoglienza e ospitalità, patrimonio storico, culturale e ambientale di pregio, in base a rigorosi parametri turistici.