Immagini dal Sannio: costumi e accessori della tradizione molisana

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In copertina, costumi del folklore di Longano.
Foto di Nicola Di Stefano

Tanto tanto tempo fa, in Molise era molto semplice dedurre il ceto di appartenenza di qualcuno soffermandosi sul suo modo di vestire. I più ricchi indossavano abiti raffinati, con trine, seta e merletti, mentre i meno abbienti possedevano unicamente il necessario per coprirsi e un solo abito “buono” che veniva indossato nei giorni di festa. La dote era la vera eredità che si riceveva da genitori e nonni, passaggi di beni di famiglia che dovevano durare tutta la vita. Quando gli indumenti ereditati in dote si consumavano, si usuravano, diventavano logori, non venivano certamente buttati, ma si rattoppavano o ricucivano in modo da donar loro nuova vita, per essere sfruttati il più possibile. Questo. ovviamente, non accadeva soltanto in Molise, ma un po’ ovunque, in particolar modo laddove prevalevano le radici contadine, quelle più umili.
E i costumi tradizionali molisani sono la testimonianza di un popolo fieramente contadino, che si dedicava prevalentemente all’agricoltura e alla pastorizia, talvolta ad attività commerciali e artigianali. Ogni costume indicava non solo lo status, ma anche il comune di provenienza di chi lo indossava. Abiti, usi e tradizioni, modus vivendi che hanno subito l’influenza degli Spagnoli, della dominazione borbonica nel Regno di Napoli, così come quella dei Bulgari, degli Slavi e degli Albanesi, tutti popoli che nel susseguirsi dei secoli si sono stanziati in alcune zone molisane, influenzandone la vita quotidiana.

Solitamente le donne indossavano abiti larghi, affinché venisse assicurata ampia libertà di movimento. Solo le persone più abbienti si facevano confezionare i propri costumi da professionisti, perché le persone che dovevano badare ai propri risparmi li confezionavano in casa, autonomamente, con ago e filo, e all’occorrenza con telai rudimentali. In mancanza di sostanze chimiche coloranti, il colore veniva ricavato da elementi naturali: il giallo dallo zafferano, il nero dalla fuliggine dei camini, il rosso dalle barbabietole, il verde dalle erbe.
Molto diffusa era la lavorazione dei metalli preziosi che venivano indossati insieme ai vestiti. Le donne, inoltre, non utilizzavano cappotti, ma mantelline lavorate a maglia e un grembiule sui gonnelloni, colorato e annodato dietro la schiena. A proposito di gonne, esse erano per lo più molto lunghe, ampie e talvolta arricciate in vita, prevalentemente di colori scuri per porre un freno a lusso e sfarzo e per dare esempio di semplicità. Le camicie bianche erano un punto in comune tra donne e uomini, spesso utilizzate come indumenti intimi che venivano mostrati e talvolta finemente decorati. Piedi e gambe, fino al ginocchio, venivano ricoperti da calze di pezza o di lana. così da essere quasi invisibili. I bordi dei corpetti venivano rifiniti con una fettuccia rossa, verde, rosa o celeste e i corpetti più belli e più rifiniti venivano utilizzati nelle occasioni speciali, con tessuti più o meno pregiati in base alle esigenze.

Antichi costumi di Campochiaro (CB).
Cartolina di collezione privata di Libero Cutrone

Tra i principali accessori ricordiamo la mappa, copricapo di lana o di lino bianco che veniva indossato esclusivamente dalle donne sposate, piegato con una tecnica spesso complessa da persone esperte. A questo genere di piegatura si ricorreva prevalentemente nelle grandi occasioni, perché quando si doveva ricorrere alla tecnica più sbrigativa, si usava il sistema del fasciaturo. Anche la mappa indicava il luogo di appartenenza e lo status, in base ai colori e alle decorazioni utilizzati. Il maccaturo era un fazzoletto solitamente di lino, lana sottile o seta, che veniva avvolto intorno alla testa a mo’ di turbante. I gioielli in oro, argento e corallo, come orecchini a bottoncino o pendenti o collane, venivano indossati in quantità notevole il giorno delle nozze e nelle feste importanti, e spesso erano ereditati da nonne e bisnonne o ricevuti come dote. Le donne sposate indossavano degli spilloncini infilati nella mappa, uno per ogni anno di matrimonio, mentre le vedove eliminavano ogni tipo di decorazione, rimuovevano i colori e si vestivano di nero per tutta la vita.
Particolarmente dal secolo XVIII, a partire dall’inizio della dominazione borbonica nel regno di Napoli, cominciarono a sorgere anche fabbriche locali di tessuti pregiati e di guarnizioni, di gioielli e di altri elementi decorativi, tra le quali quella di San Leucio, nel Casertano, che riforniva il Molise di buoni prodotti, in particolare di stoffe e sete.

Gli uomini si vestivano in maniera più sobria, solitamente con colori scuri, e i loro costumi non differivano molto a seconda della zona di appartenenza. Di solito i loro capi si limitavano a calzoni, solitamente lunghi fin sotto il ginocchio e sorretti da bretelle, camicia bianca, camiciola o gilet, e giacca corta. In inverno utilizzavano un mantello scuro a ruota. Anche loro utilizzavano qualche gioiello in occasione di eventi e ricorrenze importanti, come fidanzamento, nozze o funerali di persone care. Anche per gli uomini, come per le donne, alcuni oggetti, gioielli e accessori dell’abbigliamento erano legati alle ricorrenze importanti della vita: il fidanzamento, le nozze, la morte.