Paolo Diacono. che ci racconta di un rito proprio delle popolazioni italiche eseguito in caso di situazioni difficili e di grande pericolo (come ad esempio pestilenze, carestie o mancanza di terre coltivabili), narra in particolar modo di un voto che consisteva nel dedicare a una divinità tutto ciò che sarebbe nato nella primavera successiva all’evento funesto. Potevano essere umani, animali, piante, eventi, e i primogeniti nati dal 1° marzo al 30 aprile della seguente Primavera. Non si ricorreva più alla immolazione di vite umane, ormai ritenuta crudele e antiquata, ma si dava vita a una migrazione di giovani dal territorio d’origine verso una nuova terra, rendendo possibile la nascita di nuove comunità e di nuovi popoli. Parlo del Ver Sacrum, una usanza grazie alla quale si limitava l’annoso problema del sovrappopolamento; poteva, altresì, considerarsi anche un rito che permettesse alla tribù di espandersi e conquistare altri territori con la protezione degli Dei. Qualsiasi fosse la causa di questi massicci spostamenti, il risultato fu l’origine di nuove popolazioni, quali i Piceni, i Sabini, gli Umbri da cui discese il ramo dei Sanniti. I nuovi nati di ogni specie animale si allontanavano dal ceppo originario alla ricerca di nuove terre da colonizzare. Si trattava di spostamenti che avvenivano sotto la guida di un animale totemico, interpretandone i movimenti e il comportamento, assunto probabilmente a insegna sul vessillo del gruppo, il cui nome avrebbe ispirato quello della nuova tribù che si sarebbe formata. Ecco ad esempio il latino Picus (picchio,), che avrebbero ispirato i Piceni (picchio verde, sacro al dio Marte), il greco Lùkos (lupo) per i Lucani, il sabino Hirpus (lupo) per gli Irpini. Per i Sanniti era il toro.
Il lupo aveva un ruolo fondamentale nella mitologia scandinava, incarnando il simbolo delle forze oscure, primordiali, che intaccano, corrompono e dissolvono il mondo, e nella mitologia indiana rappresenta la costruzione e la distruzione. Il suo simbolismo, appunto, presenta questo duplice lato, quello distruttivo e quello costruttivo, associato a una rinascita. Con la distruzione di cui può essere artefice, il lupo provoca una metamorfosi, un passaggio da uno stato a un altro. La funzione che assume è quella di guardiano di una simbolica soglia e di animale psicopompo, cioè di guida delle anime. Il lupo, oltre a essere distruttore, è anche guida. Viene spesso associato alle tenebre, per cui molto frequentemente lo troviamo legato a divinità luminose, come Apollo o Zeus. Il termine greco designante il lupo, lukos, è infatti affine a lyké, ossia “luce”, che richiama alla mente il dio latino Lucifer. Il lupo è anche simbolo di fecondità: non dimentichiamo che fu proprio una lupe la nutrice di Romolo e Remo. in Europa è soprattutto la lupa a simboleggiare questo aspetto. È una lupa, infatti, ad allattare Romolo e Remo. Un animale molto importante, nella tradizione totemica: esso, infatti, rappresentò l’animale guida per tre tribù dell’Italia antica, che lo riconobbero come loro capostipite ancestrale: la prima è quella degli Irpini, il cui nome, come già detto, deriva dall’osco hirpos, popolazione sannitica che, secondo antichi scritti, sarebbe stata guidata, durante un Ver Sacrum, proprio da un lupo; la seconda è quella dei Lucani che avrebbe avuto un condottiero chiamato Lucius, che, appunto, portava il nome del dio lupo Apollo lukeios ; infine, la terza gens è quella degli Hirpi-Sorani. Gli irpini erano caratterizzati proprio da importanti ed evidenti abilità guerriere. Un animale che è vero simbolo della conquista di un nuovo territorio, in cui formerà un nuovo branco e che difenderà proteggendo gelosamente i suoi confini. Caratteristica, dunque, propria degli Irpini.
Il toro ed il suo culto totemico sono tra i più diffusi nel mondo preistorico. Celebri sono le immagini di ruminanti tracciate dai nostri antenati circa 30 mila anni fa nelle grotte d’Altamira. Sono inoltre molto noti i riti che coinvolgono i bovini presso le popolazioni d’ogni continente, così come tutti noi ricordiamo il capo indiano Toro Seduto. Il toro fu molto adorato dagli Egizi, che lo identificavano con Osiris, ma anche con il sacro toro Api. Da non dimenticare, tra l’altro, che la vacca per gli Egizi era la rappresentazione di Iside. Animale sacro anche presso i Babilonesi, i Fenici, l’India e l’Iran. I Greci vedono nel toro Giove e Bacco, mentre nell’antica Roma esso era la vittima più comune nei sacrifici a Giove, Marte, Cerere, Apollo, Plutone e Nettuno: toro dal manto nero per Plutone e con le corna dorate per Apollo. I Greci ed i Romani immolano il bue soltanto se è già stato aggiogato. Si racconta che i Sanniti, durante una Primavera Sacra, ebbero come animale totemico un toro selvatico, consacrato al dio Marte, il quale fece loro da guida e li condusse nel paese degli Osci, posto nella pianura a levante del Monte Matese, presso la sorgente del fiume Tifernus, il Titerno. Qui si stabilirono e, per buon augurio, sacrificarono a Marte il toro condottiero ed in suo ricordo chiamarono Bovaianom il luogo dei loro raduni. Di qui la capitale dell’antico Sannio. La capitale dei Sanniti fu fondata dal condottiero Comio Castronio, proveniente dalla Sabina, guidato proprio dal toro; Tito Livio la citò come “Caput Pentrorum Samnitium, longe ditissimum, atque opulentissimum armis, virisque”, la più forte e ricca per uomini e mezzi. I giovani fondatorsi spostavano in cerca di acqua e pascoli per gli armenti e clima dolce per i figli futuri. Il bove che li guidava, arrivati ai piedi del colle nell’aspro Matese, brucò la tenerissima erba nata dalla terra umida, poi, levato il muso, udì lo scroscio del fiume che sgorga in due rami ai piedi del monte. Si avvicinò, bevve l’acqua fresca della polla e mandò nell’aria cristallina d’aprile un muggito sonoro di gioia. Fu in quel momento che i giovani compresero di essere arrivati al posto giusto e fu lì che cominciarono a fare i loro sacrifici, danzando e amandosi nei fitti boschi. La loro città fu fondata. I tori incarnano la mascolinità nel regno animale, simboleggiando la forza e il potere sia nella loro presenza fisica che spirituale. Creature sono imprevedibili, sono considerati come dei re in molte culture.
Allontanandoci leggermente dal territorio sannita pentro e irpino, racconto infine del picchio, di cui parla Plutarco in De Fortuna Romanorum, uccello profetico consacrato a Marte, che aiuta la lupa ad allevare Romolo e Remo e che li protegge. Si tratta di un uccello il cui nome deriva dal latino volgare piculus, conosciuto come il “falegname” del regno animale, perché è solito utilizzare il suo forte becco per picchiettare gli alberi. I solchi che riesce a creare con il suo lavoro sono utili per alimentarsi di larve e insetti, per creare il proprio nido e per dare un segnale di territorialità a eventuali nemici. Proprio per la costante abnegazione a questa sua caratteristica attività, il picchio è simbolo di determinazione e perseveranza, e la sua immagine viene utilizzata come simbolo di fiducia nel portare a termine un progetto già in atto. Come animale totem, favorisce il risveglio di nuove facoltà mentali. Furono proprio i Piceni ad avere come animale totemico il picchio: il loro nome parla chiaro!
Giornalista