Cosa è rimasto di Sannio Falanghina 2019? Certamente buoni propositi e concrete prospettive future per la crescita del turismo in un territorio a vocazione prettamente agricola e vitivinicola. Basta non fermarsi e perseguire sul buon percorso tracciato da qualche anno. Sannio Falanghina – Città Europea del Vino 2019, progetto di coesione territoriale finanziato dalla Regione Campania grazie al POC Turismo Campania 2014-2020, ha consacrato a Terra dei Vini il territorio beneventano. La nomina è stata riconosciuta da Recevin a un’intera area sannita, comprendente 23 comuni dell’area della Falanghina del Sannio, guidati da cinque comuni Città del Vino, che sono Guardia Sanframondi, ente capofila del progetto, Castelvenere, Torrecuso, Solopaca, Sant’Agata de’ Goti. Il suo logo è stato realizzato e donato dal Maestro Mimmo Paladino, esponente di spicco della Transavanguardia Italiana con una lungimirante visione artistica del futuro. Un manifesto che ha girato il mondo e che ne è stato l’immagine distintiva, a cominciare dal padiglione della Campania predisposto per il Vinitaly di Verona. E anche un francobollo celebrativo dell’evento è stato emesso con questo simbolo, piccolo rettangolo di carta bollato che ha fatto il giro del mondo. Non solo: Sannio Falanghina non ha semplicemente acceso i riflettori su un territorio invidiato e invidiabile, che nulla di meno ha rispetto alle grandi realtà vitate italiane e anche internazionali, ma è anche stato artefice di una serie di iniziative e progetti, come la Ciclovia della Falanghina, che hanno lasciato il segno.
Oggi, Sannio Falanghina è come una barca che continua a remare e che va verso il futuro, a ricordo di un progetto che ha segnato inevitabilmente le terre sannite. Come memoria visiva restano cinque grandi opere di street art che vanno a dare prestigio ai comuni guida che nel 2019 hanno fatto da portabandiera di uno storico evento. Valorizzare e non dimenticare tramite la street art, per dar lustro a territori che fanno della viticoltura e viticultura la propria vocazione. La street art che incontra una delle eccellenze agroalimentari sannite, una rete che promuove e racconta il suo territorio attraverso l’arte. Un evento diffuso, promosso dal Comune di Guardia Sanframondi a conclusione del 2019, realizzato in ritardo a causa della pandemia, che oggi vede risplendere di arte, colori e vita i principali edifici dei cinque paesi interessati. Il Sannio Falanghina Street Art Festival è stato organizzato e realizzato in stretto raccordo e partnership con INWARD – Osservatorio Nazionale sulla Creatività Urbana.
AMPELO – Non possiamo non cominciare con l’Ente capofila del progetto. A Guardia Sanframondi, sulla facciata laterale del bellissimo palazzo municipale, domina Ampelo, grande opera artistica su muro realizzata da Vittorio Valiante, che ha scelto di rappresentare i buoni frutti di Sannio Falanghina con la raffigurazione della trasformazione di un corpo umano in pampini, tralci, grappoli, ispirato dal mito di Ampelo. Il giovane, amato da Dioniso, trovò accidentalmente la morte cadendo, secondo i più, da una vite sulla quale si era arrampicato per cogliere un grappolo d’uva, e fu poi trasformato in vite, recando agli uomini il dono dionisiaco del vino. Dioniso era molto innamorato e alquanto geloso del suo Ampelo. Quando lo trovò esanime, il dio cominciò ad abbandonarsi alla disperazione e a nulla valsero i tentativi di Eros, dei Sileni e delle Ore di consolarlo. Dioniso strinse a sé il corpo del giovinetto per poterlo abbracciare un’ultima volta, quando un rivolo di sangue stava abbeverando un germoglio: era un segno di rinascita e speranza, l’annuncio di una nuova pianticella che sarebbe cresciuta avviluppando Ampelo e dandogli una nuova identità. Ovidio narra che Ampelo venne trasformato in una vite: nata la prima uva, il dio ne staccò i grappoli e li spremette con dolcezza tra le mani. Da quel giorno Dioniso andò in giro impugnando un tirso, il bastone di legno attorno a cui si avviluppano pampini di vite e foglie di edera, e un cantaro, coppa di ceramica. Fu così che l’amore infelice per Ampelo divenne vino attraverso il suo sangue. Il termine greco ampelos vuol dire “vite” e proprio da questo etimo ha origine l’ampelografia, studio scientifico dei vitigni, ovvero la classificazione delle uve a seconda di criteri distintivi delineati.
GIOVANE BACCO e IL DONO – Dioniso era il nome greco di Bacco, divinità che nella religione romana indica l’ebbrezza. Dio del vino e della vendemmia, nonché del piacere dei sensi e del divertimento, Bacco è innanzitutto il dio del vino e dei misteri, il primo che avrebbe introdotto fra gli uomini la prelibata bevanda. Secondo il mito era figlio di Zeus e di una mortale, Semele: questa morì prima del parto, folgorata per aver voluto vedere Zeus nel suo aspetto reale. Zeus sarebbe riuscito a salvare il feto cucendolo nella sua coscia; di lì appunto sarebbe nato il dio. Come precedentemente detto, viene raffigurato spesso come un uomo col capo cinto di pampini, sovente con in mano una coppa di vino o il tirso. A Solopaca e a Sant’Agata de’ goti il mito di Bacco è stato ripresentato in chiave contemporanea e pop. Solopaca ha omaggiato il dio romano con un murale intitolato Giovane Bacco, realizzato da Domenico Tirino aka Naf-Mk e Nina K Anin. L’arte urbana, dunque, ha omaggiato un Bacco contemporaneo, puntando sulla rappresentazione di un giovane dio che raccoglie un grappolo d’uva, gesto semplice e immediato che mette in risalto il contatto diretto tra uomo e natura. Il dono, invece, è il titolo del murale realizzato dall’artista Fabio Della Ratta, con la collaborazione di Domenico Olivieri AKA JSD e Muhammed Ceesay aka NuruB, nel bellissimo borgo tufaceo di Sant’Agata de’ Goti. Un dio Bacco in chiave pop realizzato in via Caudina, su due facciate di un edificio appartenente al patrimonio pubblico, con colori vivi che vanno a ricordare una contemporanea revisione di Andy Warhol. Un grappolo tra le mani della divinità da leggersi come regalo della natura, un dono, da sempre simbolo di ricchezza, fiducia e integrità.
PICCOLI GESTI – Per vendemmia si intende il momento in cui l’uva coltivata in vigna viene raccolta e trasportata in cantina e da qui, attraverso il processo di vinificazione, trasformata prima in mosto e infine in vino. Il periodo di raccolta, tuttavia, può dipendere da diversi fattori: condizioni climatiche, zona di produzione, composizione del suolo, tipo di uva o tipo di vino che si vuole ottenere. Il momento della vendemmia comporta una conoscenza accurata dell’uva che ci si appresta a raccogliere. Le prime testimonianze della vendemmia risalgono addirittura al 10.000 a.C. nelle zone della Mezzaluna Fertile, mentre nell’Antica Roma, il 19 agosto si celebrava la cosiddetta Vinalia Rustica, festa in onore di Giove che dava ritualmente inizio alla vendemmia. Da sempre la vendemmia è la festa delle feste, della comunità, della famiglia, di quei ragù che sobbollono già alle quattro del mattino per poter tornare dalla campagna e trovare il pranzo pronto, laddove il pasto non viene consumato ai piedi dei filari, o all’ombra di un centenario albero di ulivo, che comincia a manifestare i suoi frutti per la prossima raccolta, con i bambini che giocano a rincorrersi e a contare i grappoli d’uva nelle loro bacinelle. O gli stessi bambini che si divertono a salire sui trattori o camion ricchi di acini e grappoli, a pigiarli, a saltarci sopra. Uve pronte a essere staccate dai loro tralci già a fine agosto, e poi trasportate, e infine lavorate. Famiglie intere che la sera guardano il cielo e invocano il bel tempo e, nel caso in cui la pioggia dovesse fare capolino, fino all’ultimo minuto sperano nel vento che spazza via ogni nuvola e goccia. Ed è proprio questo momento di festa della famiglia che l’artista Teso, a Torrecuso, ha rappresentato con il murale Piccoli gesti, mediante una tenera immagine che rappresenta un antico rituale: un bambino che con i suoi piedini schiaccia l’uva in un ampio bacile.
EBE – Figlia di Zeus e di Era, gli antichi Greci la considerarono come la personificazione della fiorente giovinezza. Nell’Iliade figura come la coppiera degli dei dell’Olimpo, divina ancella di Era che ha con la dea uno stretto legame tanto che, probabilmente, in origine è stata un’ipostasi di Era stessa. L’ancella e coppiera degli dei aveva il compito di servire loro il nettare e l’ambrosia, il cibo e la bevanda di cui questi si nutrivano, Una sorta di prima donna sommelier della storia. Un giorno Ebe, mentre stava servendo agli dei il nettare, cadde in modo poco conveniente e per questo motivo Zeus, suo padre, l’avrebbe dispensata dall’importante incarico. Da tempo aveva pensato di sostituirla col bellissimo Ganimede che per la sua bellezza venne rapito in cielo dall’aquila del dio padre degli dei olimpici. Secondo altre versioni, fu lo stesso Zeus a trasformarsi in aquila per rapire con le sue mani il giovane Ganimede. Ebe possiede anche il potere di ridare la giovinezza ai mortali, riuscendo a ringiovanire il vecchio Iolao e a donargli la forza necessaria per combattere contro Euristeo. E proprio a Ebe, Leticia Mandragora si è ispirata per realizzare il murale in onore del Festival di Sannio Falanghina che troneggia nella piazza principale del comune più vitato d’Italia. Il murale rappresenta una moderna Ebe, con la sua coppa di nettare in mano, accanto all’aquila, personificazione del padre Zeus.
Giornalista