Il Molise è la piccola regione ricca di storia di cui è impossibile enumerare ogni sito di interesse artistico e archeologico: sicuramente rischierei di dimenticare qualcosa. Ecco perché, nelle Immagini dal Sannio di oggi, faccio un excursus sui principali siti di interesse storico – archeologico dell’area sannita. Si parla sempre di Sanniti, una presenza molto importante nella Pentria, ma spesso si tendono a dimenticare le testimonianze del Paleolitico. Proprio nei pressi di Isernia, infatti, in localita Pineta, è stato rinvenuto un antico insediamento che risale a circa 700 mila anni fa. Aesernia fu una importantissima cittadina sannita, che ha avuto un grande impatto nella storia del Sannio pentro, e che custodisce testimonianze di epoca romana. Infatti, dapprima fu capitale della Lega Italica e dopo divenne Municipium romano. Al sito, l’Unesco ha conferito l’autorevole scudo blu a garanzia di protezione internazionale in caso di calamità naturali e conflitti armati. Si tratta di un giacimento scoperto nel 1978, ed è certamente una delle più complete testimonianze della storia degli insediamenti umani in Europa. La scoperta del giacimento paleolitico ha creato grande interesse nel mondo scientifico e non, tanto che la Rivista americana Nature ha dedicato la copertina alla sua scoperta. Grazie alle varie campagne archeologiche e agli scavi è stato possibile ricostruire l’ambiente naturale e la vita di ben 700 mila anni fa. Gli studiosi parlano di Homo aeserniensis, una specie locale di Homo heidelbergensis, genere intermedio nella scala evolutiva umana tra Homo erectus e Homo sapiens, che dall’Africa meridionale decise di colonizzare il pianeta circa 1,5 milioni di anni. L’Homo aeserniensis, primo colonizzatore d’Europa, aveva una caratteristica fronte piatta, era alto circa 170 cm (il maschio) e aveva una costituzione robusta. Non era bello, ma molto organizzato a livello sociale e sapeva coordinarsi nella sua particolare propensione alla caccia, emettendo suoni per comunicare e per segnalare pericoli. Fu, inoltre, il primo ominide a governare il fuoco, per difendersi, riscaldarsi e cuocere il cibo, e a impiegare la tecnica coloristica a fini estetici. Portava avanti una vita nomade, vivendo sotto capanne e ripari più disparati, fatti di frasche, ossa e pelli, molto lontani dall’immaginario collettivo delle caverne. Di questa specie ominide, a Isernia è affiorato un solo reperto umano: si tratta di un primo incisivo superiore sinistro da latte, appartenuto a un fanciullo deceduto all’età di 6-7 anni, rinvenuto nel 2014 e datato a 586 mila anni anni fa. Il dente umano rappresenta una scoperta straordinaria in quanto permette di sottolineare la peculiarità dei resti umani italiani più recenti che mostrano spesso una persistenza di caratteri arcaici se confrontati al resto dell’Europa. Grazie a tale importante scoperta è stato possibile ricostruire le caratteristiche fisiche di questo genere ominide.
Dal V secolo a.C. il Molise fu abitato da popoli simili per etnia e cultura noti come “genti sabelliche” e già dal IV secolo a.C. si andarono delineando diversi ceppi storici: Frentani, Sanniti e Pentri. Questi popoli resistettero con grande forza e a lungo all’avanzata dei Romani e non è un caso che nel tempio piccolo del Santuario di Pietrabbondante, la maggiore area sacra dei Sanniti, siano state ritrovate moltissime armi risalenti proprio al periodo della lotta contro Roma. In tutto il territorio sono state rinvenute tracce del passato e continue sono le nuove scoperte. Siamo in mezzo a una natura incontaminata, fra le alture e le distese pianeggianti del Molise. Il nome del borgo deriva dalla gran quantità di rocce disseminate in tutto il territorio e chi passeggia tra le vie del paese, si immerge in pieno nella sua ricca e importante storia, nel suo illustre passato di secoli e secoli fa. Studi e ritrovamenti recenti, fanno derivare il nome anche dal culto della dea Ops consiva o dea dell’abbondanza, praticato nel portico del Tempio. Il Santuario Italico di Pietrabbondante rappresenta la testimonianza architettonica più importante della religiosità dei Sanniti Pentri. Il sito, in località Calcatello, ha uno schema tipico dell’età ellenistica mediato dall’ambiente campano e latino. Il complesso teatro-tempio, costruito a partire dalla metà del II secolo a.C., si ispira ai modelli ellenistici diffusi in area campana, sia per lo schema del teatro, che ricorda quello di Sarno e il teatro piccolo di Pompei, sia per la decorazione architettonica del tempio, il cui podio ricalca il modello di quello di Capua. Il teatro era parte integrante del santuario ed era delimitato da un poderoso muro in opera poligonale, edificato grazie all’intervento dello stato sannitico e dei suoi magistrati con sede a Bovianum. La cavea è completamente in pietra con il podio alla base di un colonnato greco e sedili anatomici con la spalliera lievemente ripiegata all’indietro, ciascuno ricavato da un singolo blocco di pietra, e i braccioli che rappresentano delle zampe di leone alate. Il complesso conserva le caratteristiche dell’architettura templare italica, difatti è posto su un podio con una gradinata centrale di accesso, e su tre lati è circondato da un corridoio.
In Alto Molise, a pochi metri dal castello di Pescolanciano, a ridosso del tratturo Lucera-Castel di Sangro, un bosco conserva i ruderi di fortificazioni di epoca sannitica, tra le più belle e meglio conservate di tutto il Molise, con all’interno i magici resti di una torre e di un borgo medievale. Si tratta di una torre isolata, a breve distanza dai resti di una cinta sannitica e di quelli di un insediamento alto -medievale, le cui murature sono costituite da elementi lapidei. Di essa non sopravvivono feritoie o altri apparati di difesa che possano facilitare datazione e definire le caratteristiche militari. Sepino, fu prima roccaforte sannita con il nome Saipins, poi prese il nome latino Saepinum, quando divenne una piccola città romana, e nel Medioevo assunse il nome di Altilia. Fu edificata nei primissimi anni del I secolo d. C. e non è stata ancora completamente scavata ma è perfettamente conservata. È un gioiellino della storia Romana ed ebbe un’importante espansione quando diventò luogo di villeggiatura termale. Molto probabilmente, i primi insediamenti risalgono alla preistoria e il corso del fiume Tammaro ha potuto di sicuro incentivare la nascita di agglomerati abitativi, sia pure di dimensioni modeste, oltre che di innumerevoli tratturi. Come tutte le popolazioni sannitiche dislocate lungo l’Appennino dell’Italia centro–meridionale, gli abitanti di Saepinum erano legati a pastorizia e agricoltura. “Montani atque agrestes”, li definì Livio. Ancora oggi, nell’area archeologica, è possibile passeggiare tra edifici che conservano molte delle caratteristiche originali: oltre al Foro, l’antico mulino, botteghe e abitazioni private. Le mura reticolate sono realizzate con il calcare del Matese, tagliato in blocchetti minuti e sagomati a forma di piccole piramidi, a base quadrata o rettangolare. La Basilica in pianta rettangolare, con una lunga serie di colonne, era nell’antichità un edificio polivalente nelle sue funzioni di pratiche commerciali e attività giudiziarie e, in epoca imperiale, anche attività religiose collegate al culto dell’Imperatore. Le Terme sono l’edificio più esteso e ancora non del tutto scavato; si suppone, infatti, che le zone tipicamente termali, come il calidarium, frigidarium, praefornium, siano ancora interrati e ciò che è visibile sia solo l’ingresso. La fontana del Grifo è così chiamata per la raffigurazione che conserva. All’esterno delle mura, sono conservati due mausolei funerari, come da tradizione romana.
Ai piedi delle Mainarde è possibile tornare nel Medioevo visitando le rovine dell’antica Abbazia di San Vincenzo al Volturno, monastero benedettino tra i più importanti dell’epoca. La leggenda narra che l’abbazia sia stata visitata da Carlo Magno e che essa fu al centro di uno scontro aspro tra monaci longobardi fedeli al proprio duca e monaci favorevoli invece ai franchi, finché fu lo stesso Carlo Magno a far prevalere e a favorire questi ultimi che provvidero a potenziare il cenobio, provvedendo alla costruzione di una grande chiesa. Essa, nel susseguirsi dei tempi, ha dato interessanti testimonianze della cultura e della fede dell’intera valle. Il cantiere di scavo archeologico abbaziale è condotta dall’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli, con il sostegno del Museo Archeologico Nazionale di Napoli e in collaborazione con la Soprintendenza ABAP e il Polo Museale del Molise. Grazie all’imperterrito lavoro degli archeologi si è avuta testimonianza che non si trattasse solo di un monastero, ma che fosse anche un vero quartiere produttivo, nel quale venivano conservati forni per vetri, laterizi e metalli. Chi è appassionato di storia molisana, di archeologia benedettina, di fatti medievali, delle radici di fede dell’area del Volturno, non può non aver mai sentito parlare del Chronicon vulturnense, cronaca del monaco Giovanni di cui non si hanno notizie certe, redatta nel XII secolo, intorno al 1130 presso l’abbazia di San Vincenzo al Volturno (IS), scritta in latino, e tratta delle vicende storiche del monastero dalla fondazione nel VII secolo sino all’anno 1115. Il codice è stato tradotto integralmente dal latino medievale in italiano dalla prof.ssa Luisa De Luca Roberti, e il testo è stato revisionato dal prof. Massimo Oldoni dell’Università La Sapienza di Roma e dal prof. Federico Marazzi dell’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli. Si venne a conoscenza di tale prezioso codice miniato nel 1567 quando l’Abate Cesare Costa, di San Vincenzo, in una missiva indirizzata a Carlo Borromeo, annunciò l’importante ritrovamento. Un manoscritto in scrittura beneventana, un codice che oggi è conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana, cod. Barb. lat. 2724, composto di 341 carte in pergamena, numerate due volte in tempi diversi: la prima volta, in cifre romane, risalente al XIII secolo, e la seconda in cifre arabe, per mano e ingegno di Costantino Caetani.
Giornalista