Immagini dal Sannio: il castello di Gambatesa, tra ulivi e maitunat’

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Siamo ai confini tra Molise e Puglia, a pochi chilometri dal lago di Occhito, vera e propria oasi di pace di origine artificiale, derivante dallo sbarramento delle acque del Fortore, che comunque è in lenta fase di rinaturalizzazione, assumendo così le caratteristiche di una zona umida. Gambatesa, comune della provincia di Campobasso che conta poco più di mille abitanti, è adagiato su una collina tufacea e immerso in un grande spazio verde, caratterizzato maggiormente da ulivi secolari. Il paese doveva esistere già in epoca romana, ma fu nel periodo longobardo a trovare il maggiore sviluppo, attorno al suo famosissimo castello. Il suo nome deriva proprio da un difetto fisico all’arto inferiore del suo primo proprietario. Un paese in cui recarsi per tuffarsi nei sapori tipici di una terra vocata alla ruralità, piatti che rievocano i ricordi di antichi e genuini sapori di tempi ormai andati. I ciufell prendono il nome da ciufolo, fischietto, ma sono certamente conosciuti anche come cavatelli. Si tratta proprio della pasta fatta in casa che noi tutti conosciamo, che qui generalmente viene condita con sugo di cotechino e salsiccia, oppure con la ricotta. A volte vengono mischiati alle cime di rapa, stufate e condite con uno sfritto di listarelle di ventresca e peperoncino. Quest’ultima versione è quella caratteristica del periodo tra Natale e Pasqua, quando i broccoli sono freschi di raccolta e non c’è bisogno a ricorrere a prodotti surgelati. Un piatto tipico della vigilia di Natale è il baccalà con la mollica, condito con olio, rigorosamente locale e d’oliva, aglio tritato, sale, prezzemolo, uva passa e noci tritate; il tutto, poi, viene cotto in forno. Il casciatell è il fiadone a forma di mezza luna ripieno con uova, ricotta, zucchero, vaniglia e limone, talvolta anche con cannella. Le mandorle atterrate sono scoppiettate nello zucchero che viene sciolto a fuoco lento in un recipiente contenente acqua, fino a formare uno sciroppo con cui esse vengono rivestite.

Una delle tradizioni più caratteristiche di Gambatesa è legata al Capodanno: folklore che va avanti da secoli per festeggiare il passaggio dal vecchio al nuovo anno. Un gran via vai, per le strade del borgo, dove antichi strumenti artigianali vengono affinati e personalizzati, e gruppi musicali, divisi in squadre, prendono conformazione e identità e fissano il loro appuntamento. Si tratta dell’antico rito delle maitunat’, in cui un antico stornello risuona ovunque, tra canti, balli ed esibizioni in un’atmosfera festosa, calda e coinvolgente. Ecco, dunque, che giovani, anziani, adulti e bambini prendono di mira, in tono scherzoso e canzonatorio, i padroni delle case in cui si recano. Nessuno se la prende con loro, perché godono di affetto e di immunità da ogni genere di rabbia o scherno. Menestrelli che mettono alla berlina personaggi pubblici della vita paesana, cariche militari e istituzionali, donne più seriose e donne più “allegre”, ma anche gente comune che ha fatto parlare di sé per qualche episodio eclatante. La felicità, la festa consiste nel fatto che ogni stornello ha un qualcosa di liberatorio, conserva la libertà di poter dire, almeno per una volta, quello che si desidera dire, e che a volte non si ha il coraggio di dire, senza timore di offendere o ferire nessuno. Terminate le Maintonate, viene aperta la porta e offerto a tutta la squadra da mangiare e da bere. Una festa a suon di risate, allegria e spensieratezza, con organetti abruzzesi, sonaglieri, acciarini e coperchi di pentola. Il Bufù è lo strumento tipico: si tratta di una pelle di agnello gonfiata e tesa su un secchio di legno, sulla quale viene incastrata una canna di bambù che viene strofinata ritmicamente dal suonatore con una pezza bagnata producendo così un caratteristico suono. Quella delle maitunat’ è un’antichissima tradizione molisana, che a Gambatesa è considerata fiore all’occhiello, le cui origini, però, non sono molto note. Sono diversi i significati assegnati alla parola maitunat’, qualcuna avvicina la parola alla locuzione mai intonate, per via dell’estemporaneità con la quale i cantori eseguono lo stornello in modo improvvisato. ma questa tesi si può facilmente smentire perché il termine è utilizzato in molti altri paesi molisani nei quali lo stornello non è eseguito estemporaneamente.

Affreschi del Castello di Capua

Certamente, però, la perla preziosa del piccolo paese fortorino è il suo Castello, tipico fortilizio dell’epoca medievale, che nel tempo è stato oggetto di innumerevoli opere di ristrutturazione e trasformazione, specialmente dopo il terremoto che scosse il centro abitato nel 1456. Il Castello di Capua ha una tipica e massiccia struttura di forma quadrata con la merlatura guelfa e con torri angolari che risalgono appunto al Medioevo. Le finestre e la loggia con i tre archi a tutto sesto e il portale bugnato sono elementi tipicamente rinascimentali. Il basamento e le sue alte mura richiamano proprio l’idea difensiva che originariamente c’era nella costruzione del maniero, un bastione arroccato sul promontorio che guarda la vallata del Tappino. Oggi, alla fine degli svariati restauri, il Castello si erge su quattro livelli. Il primo, in parte scavato nella roccia, era nell’antichità adibito a stalle, carceri e magazzini, con ampi saloni coperti con volte a botte e un camino dalle dimensioni imponenti. Una scalinata esterna a tre rampe porta direttamente al secondo livello, con un atrio molto accogliente in cui si aprono le porte del salone e di altri ambienti minori. All’interno si può ammirare lo straordinario ciclo di affreschi di cui non è certa la paternità, ma realizzato con molta probabilità da Donato Decumbertino (da Copertino), presumibilmente allievo del Vasari durante il suo soggiorno a Napoli e Roma tra il 1540 e il 1550, che ha per tre volte lasciato la sua firma sulle opere in questione, e dai suoi allievi nel 1550, che decora il salone e alcune stanze. Paesaggi, scene mitologiche, allegorie, scene di animali e pergolati di notevole livello artistico ed espressione tipica del manierismo cinquecentesco affrescano le grandi sale che riescono a incantare per bellezza e magnificenza. L’affresco forse più noto e particolare è quello che si trova nella saletta delle Maschere, dove si può notare la struttura della Basilica di San Pietro, ancora in costruzione, e l’obelisco vaticano. Bellissime, inoltre, le quattro figure allegoriche della Carità, della Fortezza, della Prudenza e della Giustizia che si trovano nel salone principale. L’unico elemento architettonico da segnalare nel terzo piano è la loggetta con tre arcate che affaccia sulla piazza del paese, di fronte alla chiesa Madre. Anche qui, probabilmente, erano presenti maestosi affreschi, negli ampi locali destinati a residenza nobiliare, ma oggi, di essi non v’è alcuna traccia. Il quarto livello, con la sua loggia rinascimentale, ha, nel corso dei secoli, subito notevoli trasformazioni. Dalla terrazza merlata è possibile, con un solo colpo d’occhio, perdersi tra le meraviglie naturalistiche del lago di Occhito e dei piccoli borghi fortorini della Puglia. Dal dicembre 2014 il Ministero per i beni e le attività culturali gestisce il Castello tramite il Polo museale del Molise, che nel dicembre 2019 è divenuto Direzione regionale Musei.

In copertina, foto di Pietro Abiuso