Immagini dal Sannio: il culto del fuoco nella Faglia di Oratino

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Le tradizioni natalizie del Molise girano principalmente intorno alla simbologia del Fuoco, quel sacro elemento naturale il cui culto e il cui simbolismo risalgono alla preistoria e derivano dalla natura spirituale della luce. In tutto il mondo si adora il fuoco come viva immagine del Sole, fonte di vita e di rinnovamento. I romani lo adoravano come fosse una divinità familiare, e da essi veniva rappresentato da una Vestale presso un altare sopra il quale ardeva il fuoco, oppure da una donna che teneva un vaso pieno di fuoco. Le Vestali dovevano alimentare continuamente la fiamma nel tempio circolare senza lasciare mai che il fuoco si spegnesse, pagando con la loro vita se ciò fosse accaduto. Di questo fuoco eterno ne avrebbe tratto beneficio il mondo intero.

Oratino è un piccolo comune della provincia di Campobasso, uno dei borghi più belli d’Italia, riportato nel catalogo Baronum del 1150 con il nome di Lauretinum. L’albero di alloro era mitologicamente sacro ad Apollo, dio delle arti e della giovinezza, e ne divenne il simbolo per eccellenza, motivo per cui ai poeti e ai vincitori si cingeva sempre il capo di un suo serto. E gli abitanti di Oratino, nel tempo, si distinsero nelle sculture, nelle pitture, nelle decorazioni, meritando l’onore di tale toponimo. Un etimo che ci porta a pensare a un originario bosco di alloro, sede delle prime famiglie che vi si fermarono. A Oratino si celebra una delle tradizioni legate al Natale più antiche e conosciute dell’affascinante regione molisana. Anche se le prime notizie sull’evento risalgono al 1251, sicuramente si tratta di un antico rito pagano che il cattolicesimo ha poi fatto suo. Si tratta del rito del fuoco già molto diffuso tra le popolazioni italiche precristiane. La tradizione di Oratino è quella della cosiddetta Faglia, ossia l’accensione di una grande torcia lunga 13 metri e dal diametro di circa un metro e mezzo, costituita da canne, che ha come scopo quello di indicare il cammino spirituale in un periodo in cui la rinascita è al centro di tutto. In questo caso il cammino spirituale a cui la faglia fa riferimento è quello dell’intera popolazione del borgo molisano. In particolare, con la Faglia di Oratino si fa riferimento al culto del fuoco europeo e, soprattutto, ai fuochi del solstizio d’inverno, che, come quelli del solstizio d’estate, sono collegati alla fecondità e al matrimonio, nonché alla morte. Il fuoco, testimone di immortalità, ha il compito di allontanare dall’animo umano le tensioni peccaminose. La faglia non è altro che un rudimentale faro, che guida le anime nella notte, rischiara il cammino e indica, nelle notti di bufera, il rifugio contro le rigide temperature del territorio. Un richiamo alla fecondità, e alla verticalità dell’albero, che fiorisce e rifiorisce, simbolo di vita e rigenerazione. In occasione del solstizio d’inverno, che ripropone la morte del vecchio anno e la nascita del nuovo, si ripete questa tradizione singolare, unica nel Molise, di cui troviamo qualche antichissimo precedente nelle celebrazioni israelitiche di Beelfegor e nelle stele di fuoco puniche, chiamate hammanin, vicino Cartagine.

Il temine faglia ha inequivocabilmente il significato di fallo e le derivazioni possibili sono Phavos, in greco falò; fax-facis, in latino fiaccola; facula-faculae: piccola fiaccola, che, pur avendo tutte la stessa radice, non danno una sufficiente interpretazione del termine. Molto probabile, dunque, che si tratti di una contaminatio linguistica avvenuta nell’idioma volgare, nel corso dei secoli, tra il termine phalos, in greco fallo, e quello latino palea, paglia. Le canne necessarie alla realizzazione della faglia vengono raccolte nei giorni che precedono la festa, che solitamente si tiene il 24 dicembre, da squadre che le puliscono e le selezionano secondo lo spessore e la lunghezza. I giovani sono i protagonisti della costruzione della grande faglia, della raccolta e della essiccatura delle canne. A loro è permesso rubare le canne anche di notte, nonché il materiale necessario al gigantesco manufatto, ma soltanto nelle campagne limitrofe o nei vigneti dei paesi vicini. Questo dà la possibilità di spingere i giovani a fare le prime esperienze a mo’ di iniziazione. Occorrono almeno quaranta volontari nel trasporto della faglia: il peso è tanto, si tratta di circa 60 chilogrammi da sostenere in un lungo percorso che porta alla Chiesa di Santa Maria Assunta in Cielo. Un percorso non facile, a causa delle salite e delle numerose curve che si incontrano. Nel percorso, il capofaglia, oltre a scandire il tempo e la marcia dei portatori, grida “Evviva le canne di…”, inneggiando alla generosità di coloro che hanno fornito la materia prima per la realizzazione della faglia stessa. Una volta giunti sul sagrato della chiesa, la faglia viene innalzata con l’aiuto di un argano e da una corda d’acciaio. Dopo la benedizione del parroco, dal campanile, una barra, con in punta uno straccio imbevuto di combustibile, si avvicina alla sommità della faglia, depositando la fiamma con cura, così da dare inizio al rito del Natale. La grande costruzione brucia, si sente il crepitio e lo scoppiettio delle canne che ardono, dando vita a uno spettacolo che attrae centinaia di turisti in questo borgo antico piccolo e delizioso del Molise. In passato i giovani del paese rubavano le canne dai vigneti locali come prova di coraggio o di iniziazione. Il corteo che dura tutto il pomeriggio del 24 dicembre è accompagnato da suoni e balli popolari che ridanno vita al folklore paesano, durante il quale si assaggiano i piatti locali preparati dagli abitanti del paese. Quella cucina molisana che tanto ha da dare e insegnare. Una ricchezza che è vero e proprio vanto del territorio sannita.