Verde, tanto verde nel nostro piccolo e amato Molise che fa da cornice perfetta a torri e fortificazioni, che spesso sono considerati dei veri emblemi delle città che rappresentano. E se vogliamo vederci un qualcosa di fiabesco, di romantico, dobbiamo anche pensare al grande valore militare e storico che riescono a custodire. La Terra dei Pentri è viva e pullula di storia, di radici, di tradizioni. È questa la terra dei tratturi, delle cascate, dei boschi, dei piccoli borghi che contano poco più di duecento anime. È questa la terra di storia sannita, di quei Pentri, appunto, fiero popolo del Sannio, che vivevano in terra molisana nei dintorni dell’attuale Isernia, Aesernia, una delle città più importanti dei Sanniti. E furono proprio i Pentri a costruire, a scopi essenzialmente difensivi, molte fortezze sulle montagne circostanti, proprio perché fossero difficilmente espugnabili. La Pentria, il cui popolo, doppo svariate e aspre lotte, fu sconfitto soltanto dall’Impero Romano. Nell’VIII secolo questa terra appartenne al ducato di Benevento, e solo nel Medioevo furono costruiti la maggior parte dei castelli d’ispirazione normanna, ma che ricalcano spesso delle preesistenti strutture longobarde. Rocche, fortezze, zone archeologiche, ricche di storia, in una zona sannita che ci riserva tante piccole, grandi, piacevoli sorprese. Difficile poter menzionare tutti i resti e il vari palazzi, torri, cinte murarie. Ho pensato, dunque, di tracciare un piccolo itinerario nei più caratteristici castelli di questa zona dal ricco e consolidato fascino.
Roccapipirozzi è l’unica frazione di Sesto Campano, in provincia di Isernia, un borgo isolato al confine con la Campania, fondato dai profughi di Venafro. Qui si trova una fortezza costituita da un recinto con alte mura, a pianta irregolare, che ingloba un torrione circolare, su uno sperone di roccia calcarea, a guardia di una vasta parte del territorio. Il recinto e il torrione non sembrano contemporanei. Quest’ultimo, detto “maschio”, risale al XIV secolo e presenta alla sua sommità una corona di beccatelli. Il castello, nonostante avesse solo la funzione militare, nel corso degli anni accolse anche la popolazione del borgo che vi si rifugiava in caso di bisogno. Ha una struttura alquanto particolare, ossia quella di un triangolo isoscele, perché durante la sua edificazione fu necessario l’adattamento allo sperone roccioso sul quale si erge. Feritoie e merli sono piuttosto rudimentali. La fortezza medievale fu costruita prima del 1320, e ha mantenuto il suo aspetto originale. Il 1320 è l’anno di edifiazione del torrione ed è l’anno in cui fu citato per la prima volta, come Rocca Piperoci. Venafro è davvero a due passi, e qui troviamo una delle più belle testimonianze di storia antica, il Castello Pandone, con delle raffigurazioni parietali davvero molto belle e importanti. Siamo nell’antica Venafro romana e la struttura, inizialmente fortificazione megalitica, divenne poi, per l’appunto, fortificazione romana, per finire come mastio quadrato longobardo. Nel 1498 Enrico Pandone, succeduto al padre, lo fece diventare una residenza signorile, meravigliosa dimora rinascimentale, aggiungendovi un giardino all’italiana. Di quel periodo sono testimonianza delle bellissime raffigurazioni dei cavalli della scuderia. Di ogni cavallo furono riportati la razza, il sesso, l’età, il nome, il colore del manto e il simbolo H, a significare Henricus. Sono ventisei, in totale, i ritratti dei cavalli e possono essere ammirati al piano nobile del castello. Nella sala dei cavalli da guerra primeggia la sagoma del cavallo San Giorgio, donato da Enrico a Carlo V. Oggi il Castello di Venafro ospita convegni e mostre e dal 2013 è sede del Museo Nazionale del Molise, con una ricca Pinacoteca di testimonianze artistiche molisane. Sempre in area volturnense, ci rechiamo a Cerro al Volturno, ove troviamo un altro Castello Pandone, situato sulla sommità di uno sperone di roccia, molto particolare. Non siamo così distanti dall’Abbazia di San Vincenzo al Volturno, distrutta dai saraceni nell’881 e poi ricostruita dai monaci benedettini quando tornarono anche a ripopolare il circondario. Le prime origini del castello risalgono alla fine del X secolo, durante la dominazione dei longobardi, ma sempre i Pandone, attorno al Quattroento, ampliarono in maniera considerevole tutto il complesso. modificandone totalmente l’assetto. Alcune di queste modifiche furono apportate per meglio difendere il castello, come ad esempio la costruzione postuma delle bombardiere sulle quali venivano posizionati i cannoni. Gli interni sono stati riadattati dai vari proprietari che si sono succeduti nel tempo. E proprio all’interno oggi è ospitato un albergo. L’impianto è rettangolare irregolare, con tre torri a scarpa, a pianta cilindrica superiormente: la quarta torre è stata distrutta.
Il Castello d’Alena di Macchia di Isernia costituiva una fortezza in epoca normanna e fu edificato con lo scopo di difendere il territorio. Intorno alla prima metà del 1100 l’edificio fu residenza di Clementina, figlia di Ruggero II il Normanno, re di Sicilia, che andò in sposa a Ugone di Molise. In seguito, il presidio medievale passò nelle mani di diverse famiglie, che si alternarono frequentemente. Spesso i debiti portarono alla vendita all’asta del maniero che occupa una consistente porzione dell’antico borgo circolare. Il prospetto dell’edificio domina la piazza antistante il borgo, abbellito da una loggia rinascimentale di archetti a tutto sesto. Nel cortile interno vi è una bella scalinata rinascimentale con il colonnato, che porta ai piani nobili. Nel piano di terra ci sono le cantine, le scuderie e le stanze dei servi. Il piano alto era la dimora dei nobili, con varie stanze, tra cui la cappella privata con reliquie diverse. Il Castello Pignatelli, di Monteroduni, ha origini longobarde, e domina tutta la piana del Volturno, essendo un tempo punto chiave di entrata nel “Contado del Molise”, come posto di vedetta sulla via latina. Nella Cronaca di Riccardo da San Germano, il castello è descritto come uno dei più fortificati della zona del Matese. La sua origine si fa risalire al momento in cui la popolazione fu costretta ad arroccarsi per fronteggiare le violente incursioni saracene. Con la dominazione normanna il castello, per esigenze prettamente militari, venne ampliato rispetto alla struttura originaria longobarda e rafforzato con l’innalzamento di mura di cinta, che includevano anche alcune abitazioni. Il castello è protetto da mura di cinta esterne e originariamente l’edificio era circondato da un fossato. L’ingresso interno era permesso grazie a un ponte levatoio oggi non più esistente. Il piano terra, destinato alla servitù, ospita ampie cucine, stanze con forni e strumenti da lavoro e stanze adibite a cantine dove ancor oggi sono visibili grandi botti di legno. Al primo piano si trova la “sala di rappresentanza”, molto grande, con un imponente camino in marmo, e con una bellissima pavimentazione in cotto, nel quale è impresso lo stemma della famiglia Pignatelli (le tre pignate). Il soffitto del XVIII secolo, interamente in legno, presenta. dipinti a tempera dei motivi cavallereschi. Al secondo piano sono disposte altre stanze da cui, in passato, andavano gli abitanti del castello per versare i liquidi bollenti sugli assedianti. Il Castello di Macchiagodena, principale monumento del paese, si erge sulla viva roccia e certamente le sue origini sono longobarde. Era uno strumento di avvistamento e di controllo del confine tra la contea di Isernia e quella di Bojano e, soprattutto, del tratturo Pescasserroli – Candela. Ha una pianta a forma poligonale con un vano di forma rotonda che si trova all’estremità della seconda rampa di accesso. Al piano nobile erano presenti tavole dipinte, fregi, un focolare alla romana e una finestra gotica. Nei sotterranei probabilmente doveva essere presente una via di fuga, dove un tempo erano torturati i prigionieri. Il bellissimo maniero di Pescolanciano troneggia su una collina rocciosa, guardando dall’alto sia il borgo che il trattuto Castel di Sangro – Lucera, a pochi passi dalla Riserva Naturale di Collemeluccio. La struttura originaria è cinquecentesca, la guardiola seicentesca, con la chiesetta del barone che rimase in piedi sino al terremoto del Matese del 1805, composta di marmi pregiati settecenteschi, la quale accoglieva le reliquie di Sant’Alessandro di Brescia. Nel tempo il castello ha assunto l’aspetto di residenza gentilizia. Oggi è di proprietà dell’Ente provinciale di Isernia.
Spostandoci nella provincia di Campobasso non possiamo non partire dal Castello Monforte del capoluogo, di cui alcuni attribuiscono l’edificazione nel 1459 al Conte Nicola II dei Monforte – Gambatesa, detto Cola, altri ai normanni. Il castello sorge con una pianta quadrangolare sulla roccia calcarea del monte, con un interno molto scabro, con un grande spazio vuoto lungo i cui muri sono visibili le divisioni in piani e le tracce delle scale. Molti atti notarili ci dicono che dal 1573 il castello fu usato come prigione e infatti le carceri si trovavano proprio nei sotterranei. Dal suo terrazzo si può accedere al mastio, a ben 870 metri sul livello del mare: proprio qui è installata la stazione meteorologica dell’Aviazione Italiana. Il castello è inciso su una moneta d’argento da cinque euro coniata dalla Zecca dello Stato nel 2012 per la serie Italia delle Arti dedicata alla città di Campobasso. Il Castello di Ferrazzano, di origine normanna, venne ricostruito tra il 1498 e il 1506 in seguito alla sua precedente distruzione durante il terremoto del 1496, e rappresenta il tipico tentativo degli architetti del ‘500 di convertire delle rudi fortezze medievali in confortevoli palazzi signorili. Le due torri cilindriche laterali e le mura sono di circa 40 cm di grossezza e un tempo erano serviti da scalini in pietra. L’ingresso, con arco a sesto ribassato, ha in mezzo lo stemma dei Carafa, famiglia di origine napoletana di antica e nobile stirpe, e atti storici documentano che nel corso dei secoli gli appartenenti a tale dinastia hanno ricoperto elevate cariche ecclesiastiche e, tra queste, è da annoverare quella di Gian Pietro Carafa che nel 1555 divenne papa con il nome di Paolo IV. Il cortile è ben proporzionato e risente dello stile tardo-rinascimentale. Il Castello d’Evoli di Castropignano fu costruito intorno alla metà del XIV secolo, a guardia del tratturo che portava nelle terre pugliesi. Si tratta di un imponente fortezza militare che si erge sulla Valle del Biferno, nel cui interno, una iscrizione datata 1683 riporta lo stemma della famiglia d’Evoli. Molte le stanze del maniero; addirittura una leggenda racconta che fossero 365, una per ogni giorno dell’anno, I suoi interni sono molto fastosi, ricchi di arazzi e tele, che testimoniavano la grandezza economica di questa famiglia. Di recente è stato restaurato, di proprietà della Soprintendenza dei Beni Culturali del Molise. Al castello è legata la leggenda dello jus primae noctis: la giovane Fata, di estrazione popolare, appena sposatasi non osò passare la notte di matrimonio col duca, e preferì suicidarsi; oggi a Castropignano, presso il burrone roccioso si trova il cosiddetto “cantone” della Fata, dove la ragazza si sarebbe gettata.
Il Castello di Gambatesa, a pochi chilometri dalla Puglia, nell’area del lago di Occhito, è un tipico fortilizio dell’epoca medievale che ha subìto innumerevoli trasformazioni avvenute dopo il terremoto che scosse il centro abitato nel 1456. Le trasformazioni più recenti risalgono invece agli anni del Novecento, e sono opera degli ultimi proprietari del castello, la famiglia D’Alessandro. Oggi il castello ha ripreso il suo aspetto di dimora signorile, sviluppandosi su quattro piani. Nel primo probabilmente dovevano esservi magazzini, cantine e carceri; il secondo aveva sale di rappresentanza; il terzo piano, molto più austero dei primi due, e il quarto col terrazzo da cui ci si può perdere con uno sguardo sul lago e sulla vicina Puglia. L’interno si presenta come una pregevole pinacoteca abbellita da affreschi di Donato da Copertino nel 1550, su commissione di Vincenzo Di Capua, duca di Termoli e conte di Gambatesa. Gli affreschi sono l’espressione massima del manierismo molisano, con un ciclo che raffigura paesaggi, tendaggi, finte colonne e scene mitologiche che celebrano il potere della famiglia. Il Castello Sanfelice di Bagnoli del Trigno era davvero un ottimo presidio strategico per il controllo del territorio, considerando la vicinanza dei tratturi Celano – Foggia e Castel di Sangro – Lucera. Il suo nome si deve alla famiglia Sanfelice che ne fece la propria dimora per quasi due secoli, fino praticamente al termine dei diritti di feudo. Nei primi anni del Novecento la Soprintendenza dei Beni Culturali del Molise è dovuta intervenire drasticamente per restaurarlo. Molte di queste modifiche naturalmente sono state apportate non per aggiungere elementi difensivi, ma per abbellire la dimora residenziale alquanto austera. Del complesso originario sono ancora visibili la cisterna, un pozzo e una particolare fontana in pietra. Siamo a 783 metri circa sul livello del mare, a guardia del rione Terra di Sopra. Il castello venne eretto intorno all’XI secolo, durante il dominio normanno della famiglia di Beraldo, Conte di Isernia, e in seguito fu proprietà dei Conti di Molise. Nel XVI secolo passò ai D’Avalos di Vasto, mentre gli ultimi feudatari sino al 1806 furono i Sanfelice, da cui il nome.
In copertina, il Castello Pignatelli di Monteroduni
Giornalista