Immagini dal Sannio: il merletto a tombolo, eccellenza isernina di arte e artigianato

postato in: Immagini dal Sannio | 0
Condividi articolo
La lavorazione artigianale del tombolo, foto di copertina d'archivio

La città di Isernia fa binomio con un’antica arte creativa, che oggi, purtroppo, rischia di scomparire, ma che porta avanti la bandiera delle tradizioni culturali e artigianali molisane. Un’arte che affascina tutti gli amanti del capoluogo pentro, e non solo, tramandata da generazioni e generazioni di donne che ne hanno praticato la tradizione con dignità e ne hanno fatto scuola. In città, negli eleganti vicoli isernini, nel suo cuore storico, è ancora piuttosto facile imbattersi nel ticchettio dei fuselli, accompagnato dal chiacchiericcio delle donne che sono ancora intente a esercitare questa nobile arte e che hanno costituito delle vere e proprie aziende familiari. Fino a poco tempo fa, sulle soglie delle case, al fresco dei portoni o davanti alla Fontana Fraterna, o nella piazza della cattedrale, appena cominciava un nuovo giorno era frequente che le donne cominciassero a ricamare le loro meraviglie e che dalle loro mani esperte nascessero leggiadri merletti che andavano a finire dritti nelle vetrine dei negozi della città, per divenire corredo di qualche sposa o per vestire di festa un letto, un divano o le pareti di qualche casa. Non che siano scomparsi i bei lavori artigianali del tombolo, ma certamente oggi se ne trovano di meno. Tombolo nelle lenzuola, nei vassoi, nei quadri, tombolo sui cuscini, nei centrini, nelle orlature delle asciugamani, nei polsini di un abito elegante. Quella del tombolo è l’antica arte isernina conosciuta nel mondo.

Il merletto a tombolo arrivò a Isernia dal Regno di Napoli nel XIV secolo e si diffuse grazie al lavoro delle monache residenti nel Monastero di Santa Maria delle Monache e di Santa Chiara, le quali ospitavano fanciulle della nobiltà partenopea che si dedicavano a svariate forme d’arte, dalla pittura, alla musica, fino all’uncinetto. Il primo documento attestante la produzione di una trina a tombolo prodotta dalle religiose del convento risale al 1503. Secondo uno studio del prof. Angelo Viti, per svariati anni direttore della biblioteca “Michele Romano” di Isernia, il merletto era in auge già prima del Cinquecento, sin quando gli Angioini estesero la loro sovranità anche sul Molise. In alcuni inventari della fine del Trecento o del primo Quattrocento si trovano parole come radizellis o reticello, terminologia che induce a riportare a una generica definizione del merletto. Il tombolo si emanò proprio dal reame di Napoli, raggiungendo le regioni limitrofe e l’Italia settentrionale, come attestato dagli archivi della Corte Estense, i cui documenti narrano che la principessa Eleonora d’Aragona, moglie di Ercole I, e la sorella Giovanna III si appassionarono a tale arte; quest’ultima, in particolare, se ne innamorò a tal punto da sognare di impreziosire con i lussuosi merletti isernini i suoi abiti, decidendo di imparare a praticarlo.

È da allora che Isernia può essere definita la città dei merletti, rinomati per la nobile e antica arte e per la sua preziosissima lavorazione. Nel dialetto locale, il tradizionale tombolo viene chiamato re tummarieglie, e si pratica tramite i fuselli. Questo rientra nella categoria dei merletti a fili continui, con un filo di produzione locale di colore avorio e sottile che rende il lavoro assai elegante. I primi lavori che si ricordano nella storia isernina avevano dei soggetti pagani e sacri, che col tempo cambiarono e si evolsero, ma le tecniche, i punti, i mezzi utilizzati non sono per nulla cambiati. Nell’Ottocento, per maggiore velocità di esecuzione, si è passato al tombolo moderno, con la differenza che il tombolo di una volta era di altra fattura rispetto a quello odierno, un po’ per il filo, un po’ per la maestria delle lavoratrici. Ma non per questo il tombolo odierno non va a ruba, anzi è apprezzato tanto.

Il rito della sua creazione è pura magia. Su un tamburo cilindrico imbottito di paglia pressata, il tombolo, viene appoggiato il disegno su carta del pizzo che si vuol realizzare, per poi avvolgere i fili sui fuselli di legno. Grazie alle spille, il filo viene intrecciato ad arte seguendo le linee del disegno. Tombolo, filo, sproccule, un uncinetto, il disegno da riprodurre, spille e tanta pazienza e dedizione sono le cose necessarie per la produzione dei manufatti. Le sproccule, come vengono chiamati in altre località, sono dei pezzi di legno opportunamente sagomati, sulle cui teste viene avvolto il filo usato per il manufatto, mentre l’uncinetto serve per i lavori di rifinitura. Su un foglio semirigido di carta viene fotocopiato il disegno da riprodurre e, grazie alle spille, il filo viene intrecciato ad arte seguendo le linee del disegno, con un’alternanza dei fuselli dall’una all’altra mano, in movimenti ripetitivi e monotoni, fino a che non si comincia a vedere la realizzazione della trama. Una volta terminato, il manufatto può essere applicato a lenzuola, asciugamani, cuscini, in una cornice a mo’ di quadro.

Manufatto artigianale, foto d'archivio

A Isernia, in tempi antichi erano dunque le aristocratiche e le monache a impartire l’arte del merletto alle cittadine e a fornire loro tutto il necessario, dal filo al disegno. Un sistema grosso modo identico a quello seguito ancora oggi, solo che al posto della badesse si sono sostituiti imprenditori esclusivisti locali. Isernia, insieme alla vicina Pescocostanzo, fu uno dei centri da cui si diffuse il merletto. Ma nei due paesi, con il passare del tempo, si è avuta una differenziazione di genere e di stile. Mentre a Pescocostanzo il merletto viene ancora creato con una tessitura lavorandolo in modo continuo, facendo girare il pallone man mano che la trina progredisce, a Isernia è ben predisposto il disegno su carta e dal quale non si può esorbitare.

In passato erano centinaia le donne dedite a questo lavoro. Qualcosa cambiò nel 1938 e da allora si ruppe l’equilibrio tra le lavoratrici e i merlettai che fornivano alle donne tutto l’occorrente necessario dal filo al disegno. Una determinazione adottata il 26 aprile 1938 stabiliva che le merlettaie fossero considerate non più ditte artigiane ma semplici lavoratrici a domicilio. Questo atto non piacque ai cosiddetti merlettai che tolsero il lavoro alle lavoratrici del merletto, le quali, però, non si persero d’animo e inviarono una lettera al Podestà di Isernia. Tra le firmatarie c’erano Michelina Di Tore, Maria Matticoli, Maria Cimorelli, Chiarina Giusti, Maria D’Agnilli, Lucia Paolino, Angelina Petrecca, Anna De Caria, Maria Pacifico, Angiolina Cimorelli e Giuseppina D’Agnilli. Oggi come oggi, purtroppo, sono poche le donne rimaste dedite a questo lavoro. Fino al 1970, d’inverno lavoravano tra le mura domestiche al caldo del camino e d’estate al fresco dei vicoli o dei portoni chine sul loro lavoro. Oggi, l’arte del merletto a tombolo è anche materia d’insegnamento presso l’Istituto d’Arte della città di Isernia.