Il racconto di oggi verte su uno dei più importanti riferimenti archeologici del centro sud, sito in un impianto eletto bene materiale Unesco nel 2011. Siamo a Benevento dove un tempo era lo Scriptorium di Santa Sofia, fucina della “scrittura beneventana”, la cui “lettera” derivava dai caratteri longobardi e fu utilizzata in codici e documenti, fino a tutto il XIII secolo, nella maggior parte delle regioni del Mezzogiorno.
Il monastero annesso alla chiesa fu costruito tra il 1142 e il 1176 dall’abate Giovanni IV, in parte con frammenti di quello precedente dell’VIII secolo, distrutto dal terremoto del 986. Il chiostro, dalla struttura romanico-campana arricchita da raffinato gusto arabo, è certamente la sua più importante caratteristica. Ha una pianta quadrangolare e, al centro del giardino, un capitello incavato funge da pozzo. Le aperture sono adornate da quarantasette colonne di granito, calcare e alabastro, testimonianza dell’unicità creativa dell’opera. I capitelli e i pulvini sono elaboratissimi, sfaccettati, raffigurati dai soggetti più disparati: fogliame, allegorie, profili di figure umane e animalesche, rappresentate nei momenti di maggiore intensità e vitalità.
È proprio questa struttura che dal 1928 è sede del Museo del Sannio, uno scrigno di cultura, storia e sapere che raccoglie reperti archeologici di grande spessore. Si tratta, infatti, del principale polo museale in provincia di Benevento e uno dei più importanti in Campania.
Il primo nucleo della collezione museale risale a un primordiale impianto di museo archeologico comunale fondato nel 1806 da Talleyrand, allora principe di Benevento, nell’ex casa gesuitica. Nel 1873, il materiale vide un notevole accrescimento grazie alle varie scoperte fatte durante lo sgombero delle macerie causate dai bombardamenti. Nei primi anni Sessanta, Mario Rotili riorganizzò il museo secondo criteri moderni, e nel 1964 esso fu riconosciuto “museo grande”.
Si tratta di una collezione molto varia, costituitasi nel tempo, grazie a una innumerevole serie di donazioni e acquisti nell’ambito di tutto il territorio circostante. Le testimonianze storiche raccolte nel Museo abbracciano un vasto periodo, che va da quello sannitico e romano fino al Novecento, passando per l’età longobarda, l’Umanesimo, il Rinascimento e il cospicuo periodo di arte moderna.
Il percorso si sviluppa sui due piani del complesso di Santa Sofia e in alcuni ambienti dello storico Palazzo Casiello, secondo una sequenza cronologica.
La sezione archeologica, al pianterreno, si apre con un lapidario posto nel giardino davanti al museo. Al suo interno troviamo reperti preromani a partire dal Paleolitico, provenienti dal territorio provinciale, ma anche terrecotte e ceramiche provenienti dalle città sannitiche di Caudium e Telesia, insieme a opere daune e della Magna Grecia, risalenti ai secoli che vanno dall’VIII al IV circa. Qui troviamo anche copie romane di statue greche, statue ellenistico-romane, statue dell’imperatore Traiano e della moglie Plotina e rilievi col classico tema gladiatorio.
Le Sale della Langobardia Minor sono tra le più affascinanti e caratteristiche dell’intero impianto museale, dedicate appunto al periodo longobardo di Benevento. Vi si trovano numerosi resti architettonici e iscrizioni in caratteri paleocristiani, ma anche spade, asce da guerra, utensili da lavoro, e i bellissimi gioielli in oro, argento, osso. L’oreficeria era molto fine e al contempo maestosa, nella Langobardia Minor. L’oro riluceva in tutto il suo splendore, in raffinate immagini e certosini dettagli. Fibule a S, in tutta Italia, ma nelle più svariare forme nel Meridione, nell’area della Benevento signorile e nobile. Sono inoltre conservate monete della zecca principesca nella Sala del medagliere, in una più ampia sezione numismatica che raccoglie altre monete greche, bizantine, pontificie, napoletane. Nel Museo troviamo anche una Pinacoteca che mostra opere di artisti prevalentemente locali. Ecco Donato Piperno, ma anche Luca Giordano, Paolo De Matteis, Carlo Maratta e Francesco Solimena, in opere d’arte che affiancano mobili e ceramiche d’epoca, prevalentemente della seicentesca scuola barocca napoletana.
Eppoi c’è Arcos, la sezione museale nella quale è possibile ammirare la mostra permanente Iside, la scandalosa e la magnifica. Nelle sale espositive ci ritroviamo catapultati nel bel mezzo di reperti egizi ed egittizzanti, ritrovati durate le lunghe campagne di scavo in città, cominciate nel 1903 nel corso dei lavori di ristrutturazione della Caserma dei Carabinieri, sita all’epoca nel Convento di Sant’Agostino, in prossimità dell’Arco di Traiano.
A dispetto di quanto si possa pensare, effettivamente il culto di Iside era radicato nella città di Benevento. Importato dai Romani, l’imperatore Domiziano fece edificare tra l’88 e l’89 d.C. un importante tempio con materiali direttamente prelevati in Egitto. La provenienza dei materiali permette di annoverare il sito di Benevento come quello con la maggior concentrazione di manufatti egizi originali in loco al di fuori dell’Egitto. Qui sono raccolti reperti egizi e neoegizi provenienti dal Tempio di Iside.
Secondo la leggenda, durante i tumulti per la successione all’Impero, dopo il suicidio di Nerone, l’imperatore Vitellio, temendo di essere spodestato da Vespasiano, cercò di ucciderne il figlio Domiziano arroccatosi sul colle Campidoglio, a Roma. Il giovane e futuro imperatore si travestì da sacerdote isiaco e, nascosto tra la folla, raggiunse l’Iseo del Campo Marzio dove trovò rifugio. Ecco la nascita del profondo legame tra l’imperatore e la dea, che Domiziano vedeva come una madre protettiva. Domiziano, addirittura, per atteggiarsi a faraone, si proclamò figlio di Iside. Questo il motivo per cui fece erigere l’Iseo, il Tempio alla dea, proprio a Benevento, crocevia dei due mondi di cui si riteneva padrone unico e assoluto. Qui, infatti, la via Appia e la via Latina si incontravano, rendendo la città sannita un importante nodo delle comunicazioni fra Roma e l’Oriente. Fra questi, statue di sacerdoti, dello stesso imperatore, simulacri di divinità, falchi, leoni, un obelisco del tempio.
Giornalista