In Molise, in provincia di Isernia, nei pressi del tratturo Celano-Foggia, sorge Pietrabbondante, il borgo che è considerato il cuore della cultura e della religione sannitica, che conserva il più importante luogo di culto dei gloriosi Sanniti. Il paese di chiama così per la gran quantità di rocce disseminate in tutto il territorio e chi passeggia tra le sue stradine si immerge in pieno nella sua ricca e importante storia, in un illustre passato che si tuffa a secoli e secoli fa. Studi e ritrovamenti recenti, fanno derivare il nome anche dal culto della dea Ops consiva o dea dell’abbondanza, praticato nel portico del tempio.
Il suo centro storico conserva intatte le tipologie abitative di origine medievale, ossia edifici costruiti con i materiali provenienti dal vicino sito archeologico. Il simbolo dell’illustre passato è una statua bronzea alta circa due metri innalzata nella piazza Vittorio Veneto, realizzata nel 1922 dallo scultore Guastalla e raffigurante un guerriero sannita. Furono proprio i Sanniti, infatti, a edificare sul monte Saraceno il teatro-tempio, costruito a partire dalla fine del II secolo a.C., destinato a luogo di culto e alle attività istituzionali. In ogni caso, il paese di Pietrabbondante ha origini precedenti, come dimostrato dalla necropoli datata V sec. a.C.. Sono poche le notizie storiche a disposizione che la menzionano come colonia romana.
Il Santuario Italico di Pietrabbondante è davvero il luogo simbolo del borgo, della religiosità degli antichi Sanniti Pentri, ed è ad oggi uno dei monumenti più rappresentativi del Molise stesso. Il sito, in località Calcatello, è tutto incentrato nel tempio B-teatro, con uno schema tipico dell’età ellenistica mediato dall’ambiente campano e latino. Il complesso teatro-tempio, costruito a partire dalla metà del II secolo a.C., si ispira ai modelli ellenistici diffusi in area campana, sia per lo schema del teatro, che ricorda quello di Sarno e il teatro piccolo di Pompei, sia per la decorazione architettonica del tempio, il cui podio ricalca il modello di quello di Capua. Il teatro era parte integrante del santuario, delimitato da un poderoso muro in opera poligonale, edificato grazie all’intervento dello stato sannitico e dei suoi magistrati con sede a Bovianum. La cavea è interamente in pietra, con un podio alla base di un colonnato greco e sedili anatomici con la spalliera lievemente ripiegata all’indietro, ciascuno ricavato da un singolo blocco di pietra, e i braccioli che rappresentano delle zampe di leone alate. Il complesso conserva le caratteristiche dell’architettura templare italica. Con gli ultimi scavi, che hanno indagato l’area sud-ovest del complesso monumentale, sono stati messi in luce altri edifici connessi all’area sacra.
Gli scavi nell’area iniziarono da parte del governo borbonico nel 1857, e gli oggetti ritrovati confluirono nelle raccolte dell’attuale Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Si tratta di numerose iscrizioni in lingua osca, su pietra calcarea, che rappresentano in prevalenza testi burocratici degli interventi di costruzione e sistemazione del monumento, oltre ad armi, tra cui elmi e scrinieri di elevata fattura. In tutta l’area del santuario sono stati rinvenuti frammenti di materiale la cui ricostruzione non è molto sicura, probabilmente facenti parte della decorazione del frontone del tempio, ma anche terrecotte architettoniche, resti di tegole e coppi, lastre di rivestimento. Si tratta di pezzi sporadici che compaiono un po’ ovunque, intorno al teatro, nei porticati e intorno al tempio minore. Dopo il 202 a.C., a seguito della fine della Seconda Guerra Punica, venne costruito il tempio A su una terrazza ricavata artificialmente sul pendìo naturale. Vicino vi sono delle tabernae, botteghe di epoca romana che affacciavano su un lungo porticato scandito da colonne.
Risale al 2002 la scoperta della Domus publica, residenza dalla funzione pubblica e sacrale. Il santuario aveva un importante ruolo politico per la comunità di Sanniti, con un forte legame con l’esercito sin dai periodi più antichi, come testimoniato proprio dalla grande presenza di armi ritrovate, e solo nella seconda metà del IV secolo a.C. iniziò la frequentazione del luogo di culto in cui, secondo il racconto di Tito Livio, si svolse il giuramento di dedizione fino alla morte dei componenti della legio linteata, un corpo scelto dell’esercito sannitico. Theodor Mommsen ipotizzò che Pietrabbondante dovesse essere l’antica Bovianum Vetus di cui parlava Plinio il Vecchio, mentre Raffaele Garrucci teorizzò che gli scavi riconducessero alla vecchia Aquilonia. Infatti, secondo gli storici, è proprio qui che si svolse il rito del giuramento prima della grande battaglia di Aquilonia contro i Romani, nel 293 a.C.
A circa un chilometro dall’area archeologica, in località Troccola, nel 1793 fu riportata alla luce una piccola necropoli di cui si conoscono tre sepolture di epoche diverse, comprese tra il V e il III secolo a.C., del tipo a fossa con coperture di tegole e di lastre di calcare. Gli inumati giacciono supini, con braccia e gambe distese, mentre in un caso gli arti sono leggermente flessi. Si tratta di due maschi adulti e un bambino. I corredi funerari sono poveri di oggetti di ceramica come vasellame, coppette e brocche, ma sono ricchi di oggetti metallici, come cinturoni, pettorali, cuspidi, e nella tomba del bambino sono presenti oggetti di bronzo. Questo lascia supporre che la comunità fosse abbastanza fiorente, e che le classi sociali più elevate avessero buone disponibilità economiche. Molto probabilmente l’attività della necropoli si estese dal V al III secolo a.C. per tutto il periodo di vita del santuario.
Sulla sommità del monte Saraceno, a circa 1212 mt di altitudine s.l.m., vi è una rocca fortificata da collegarsi all’intero sistema di strutture difensive costruite dai Sanniti nel corso del IV secolo a.C.. Pietrabbondante era difesa da massicce mura in opera poligonale e si collegava con analoghe opere difensive poste più a valle e visibili ancora oggi, che avevano lo scopo di controllare il percorso che costeggia il monte Saraceno, raggiungendo il santuario in località Calcatello. A circa 400 metri, in località Padolera, posto su un pendìo leggermente elevato, è stato rinvenuto il mausoleo sepolcrale della gens Socellia. La vita del santuario decadde precocemente, con buona probabilità a causa della sua posizione molto isolata rispetto alle grandi vie di comunicazione. Per questo motivo, nella zona si sviluppò un’economia di tipo agricolo – pastorale. I pezzi ritrovati sono ventinove e presumibilmente si trattava di un grande edificio costruito in pietra locale. È recente il rinvenimento, non lontano dal santuario, di una statua femminile di stile funerario, con una colomba nella mano sinistra che simboleggia l’anima libera in volo verso il cielo. Molto valida l’ipotesi che esistessero ville rustiche nelle campagne adiacenti l’area monumentale non ancora esplorate. La stessa famiglia dei Socellii ci è nota anche da altre fonti, la ritroviamo, infatti, in un’altra iscrizione sepolcrale rinvenuta nell’ambito del territorio del municipio romano di Terventum, oggi Trivento, presso il santuario della Madonna di Canneto.
Giornalista