Era il 26 febbraio 1266 quando definitivamente ebbe fine la dinastia degli Svevi, il cui ultimo imperatore fu Federico II. Quel freddo giorno di febbraio una schiacciante vittoria, a Benevento, da parte di Carlo d’Angiò sul figlio prediletto dell’imperatore Stupor Mundi, Manfredi, segnò la fine della dinastia ghibellina degli Hohenstaufen. Già Papa Urbano IV, qualche anno prima, desiderava che nel Regno di Sicilia al posto degli Svevi regnassero i francesi. Questo dopo un accordo che prevedeva che il regno non si espandesse anche nei territori del centro Italia appartenenti al pontefice. Al Nord Italia, invece, c’era l’autonomia comunale. Inoltre, per rimarcare l’identità vassallatica che i Normanni avevano nei confronti del Regno, il papa, con una serie di accordi, chiese agli angioini di impossessarsi della corona siciliana. I Normanni, infatti, quando entrarono nel Meridione d’Italia, accettarono di diventare feudatari del pontefice. Questo avvenne tramite Roberto il Guiscardo di Altavilla che, in cambio del ducato di Puglia, che comprendeva anche la Basilicata e la Calabria, accettò un rapporto di vassallaggio nei confronti della Santa Sede. Nel 1265 il Papa Clemente IV invitò Luigi, fratello del re di Francia, conte della contea di Angiò, a scendere in Italia per perseguire tale obiettivo. Manfredi, che per quanto non fu uno stupor mundi come il padre, il puer Apuliae che morì quindici anni prima, era comunque il figlio prediletto dell’imperatore che grandi cose fece nel suo regno, dapprima come re di Sicilia, poi come re di Germania, in seguito come imperatore, dopo aver strappato il titolo a Ottone IV nella celebre battaglia delle nazioni, nota come Domenica di Bouvines, che si tenne il 27 luglio 1214.
E così Benevento, inizialmente ducato della Longobardia Minor, dopo divenuto principato, e sempre sotto la protezione papale, divenne sede di un aspro combattimento tra le forze guelfe spalleggiate dalla dinastia francese degli Angiò, e i ghibellini che riconoscevano la loro guida nella dinastia sveva impersonata da Manfredi, ultimo re di Sicilia. Fu in quella occasione che questi venne sconfitto, perdendo la vita. La tremenda e difficile battaglia contro le truppe francesi di Carlo d’Angiò diede così inizio alla dominazione francese di Napoli, dell’Italia meridionale e della Sicilia. Insediatosi nel suo nuovo dominio, Carlo attese la discesa in Italia di Corradino di Svevia, l’ultima speranza degli Hohenstaufen, nipote di Manfredi in quanto figlio di Corrado IV, nel 1268, per sconfiggerlo nella battaglia di Tagliacozzo, imprigionarlo e successivamente farlo decapitare a Napoli, nei pressi dell’attuale piazza Mercato. Ciò segnò la completa vittoria della parte guelfa. Soprattutto si diede l’avvio in tutta Italia a una feroce repressione nei confronti dei ghibellini che fece scrivere versi lapidari al sommo poeta Dante Alighieri. Se pensiamo al capolavoro della Commedia, il riferimento a Benevento più ovvio viene espresso nel terzo canto del Purgatorio, in cui Dante e Virgilio incontrano proprio Manfredi, descritto menzionando le sue ferite dovute alla battaglia. Il figlio dell’imperatore è posizionato nell’Antipurgatorio in quanto morto scomunicato dalla Chiesa, Un passo tratto dal Purgatorio, III, 136 – 138:
Vero è che quale in contumacia more
di Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta,
star li convien da questa ripa in fore.
Durante la battaglia beneventana, Manfredi effettuò un attacco di fanteria su di un lato della collina, nei pressi del fiume Calore, riuscendo a sommergere di frecce la fanteria francese. Egli godeva della protezione di numerosi e temibili saraceni, dell’esercito germanico e dei ghibellini suoi alleati. Approfittando di un assottigliamento momentaneo dello schieramento svevo, gli angioini diedero vita a una mischia furibonda, che nemmeno gli arcieri riuscivano a tenere sotto controllo. Furono in molti a tradire Manfredi, specie dalla milizia italiana, fuggendo via per potersi salvare. Manfredi morì in battaglia, tanto da risultare disperso a battaglia finita al calar della sera, quando si era ormai consumata la sconfitta totale del suo schieramento. Riconosciutone il corpo, fu seppellito sul campo di battaglia sotto un mucchio di pietre e con lume spento, così come accadeva con gli eretici e gli scomunicati, Benché la sua personalità non fosse minimamente paragonabile a quella del padre Federico II, Manfredi fu comunque amante delle lettere e degli studi scientifici, e soprattutto amò la terra dove era nato, la Puglia, scegliendo di vivere nel castello federiciano di Lagopesole. Il suo nome si lega alla città di Manfredonia che volle costruita sui resti dell’antica Siponte a testimonianza di un futuro mediterraneo per l’antica terra di Apulia.
Giornalista