Immagini dal Sannio: la scarpella, storia e ricetta dello sformato di pasta del Carnevale

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In copertina, l’impasto della scarpella.
Foto di Luciano Pignataro.

In Valle Telesina, quando dici Carnevale fai presto a dire scarpella. Un piatto molto apprezzato, rinomato, originario del comune più vitato del Sud Italia, Castelvenere, nell’entroterra beneventano. Un piatto tipico che richiama ad antiche tradizioni, contadine e pastorali, riconosciuto tra i “Prodotti della gastronomia” della Campania inseriti nell’Elenco nazionale dei Prodotti agroalimentari tradizionali (Pat). Ed è proprio qui, in questo piccolo borgo dove vigneti, uliveti, e tanto verde si perdono a vista d’occhio che non è un allegro carnevale senza la scarpella a tavola, preparazione gastronomica dalle origini antiche, a cui ogni famiglia, nel tempo, ha apportato piccole varianti.

Il termine scarpella, secondo alcuni, sembra derivare da “scalpello”, un utensile atto all’intaglio. Secondo la tradizione, la scarpella aderiva al fondo della teglia in cui veniva preparata e si rendeva dunque necessario l’utilizzo di questo attrezzo tagliente, affinché potesse essere porzionata e servita con maggiore facilità. La maggior parte, però, fa derivate la parola dal diminutivo di “scarpa”, dal germanico skarpa, “tasca di pelle”, ma è probabile anche la derivazione da skalk, “servo”, termine ancora una volta germanico con cui i Longobardi indicavano il servitore che aveva il compito di trinciare le carni e servirle ai commensali. La parola pelle, inoltre, richiama proprio al riempimento di questa sorta di timballo, per cui parliamo di un piatto “riempito di carne”, da consumare prima della Quaresima, quando “grasso” e golosità la fanno da padroni e ci si prepara al carnem levare. La nascita di questo tipico piatto del Sannio affonda nella tradizione della transumanza e dei viaggi, anche quelli dei pellegrini che, per secoli, hanno attraversato le terre sannite per spostarsi da Roma a Gerusalemme, o per visitare il santuario di San Michele al Gargano, o la Via Traiana per arrivare a Brindisi. A carnevale, perlopiù nel giorno del martedì grasso, a Castelvenere, ma anche in altri piccoli comuni dell’entroterra sannita, questo piatto è inevitabile.

I Longobardi arrivarono in Italia nel 568, ed evidente fu la trasformazione dell’assetto geopolitico dei suoi territori. A Benevento, nella Langobardia Minor, essi si stanziarono e riuscirono a integrarsi al meglio, anche grazie alla conversione al Cristianesimo per mano del vescovo castelvenerese Barbato. Già i Romani utilizzavano abbondantemente la carne suina. Ma per la scarpella, solo carne e uova: si tratta di un primo piatto di pasta che può considerarsi pasto unico per la festività più festosa e colorata che ci sia. E anche questa pietanza è festosa, colorata, ricca, dal sapore goliardico ma sopraffino, che mette in evidenza tutte le materie prime e le prelibatezze che l’entroterra sannita riesce a donare. L’aspetto esterno della scarpella è molto vicino a quello di una frittata di pasta, ma in realtà si tratta di una sorta di lasagna bianca cotta al forno a legna, con ingredienti misti, variabili e legati maggiormente a prodotti di allevamento e caseari.

Un antico documento feudale di Castelvenere racconta che, all’epoca, le donne del posto erano soprattutto dedite a “crescere pulli et altri animali per servitio et guadagnio di lloro Case”. Uova in abbondanza, che richiamano alla ricchezza gastronomica dei piatti tipici del periodo primaverile, ma anche di quello che lo precede. Una terra di allevatori, questa e formaggi, dove un prodotto come il primo sale era considerato merce di scambio e baratto durante il periodo della transumanza. Si può tranquillamente usare anche il pecorino grattugiato e poi la salsiccia, carne di maiale la cui lavorazione viene effettuata proprio poche settimane prima della ricorrenza carnevalesca. La pasta, poi, è la ricchezza per eccellenza di ogni dispensa, un piccolo ma grande lusso che accompagnava i pasti di qualsiasi genere di commensale, di ogni estrazione sociale.

E la scarpella è una sorta di sformato ripieno di pasta di ogni genere, prevalentemente corta, come i perciatelli o mezzi ziti. Un piatto di recupero del carnevale destinato all’esaurimento di ogni eventuale rimanenza presente nelle dispense casalinghe in vista della Quaresima. Richiama anche il timballo delle scrippelle abruzzesi, altra terra molto legata alla pastorizia. Dagli alti livelli del Gran Sasso, infatti, una grande migrazione di bestiame guidata da migliaia di pastori, scendeva verso le coste dell’Adriatico, per spingersi ancor più a sud, verso la campagna del Lazio, il Sannio, la Terra di Lavoro.

La scarpella di Alessandro Borghese

Nel marzo 2022 è nata l’Accademia della Scarpella di Castelvenere, sodalizio che, senza scopi di lucro, si propone di esaltare il buon vivere civile e la buona educazione, tutelare e promuovere il prodotto e tutte le eccellenze del territorio, valorizzando anche le bellezze paesaggistiche, architettoniche e culturali del comprensorio, contribuendo alla riscoperta di antiche ricette locali e alla diffusione dell’enogastronomia italiana.

Ricetta (tratta da vinicoladelsannio.it) – Ingredienti: 500 g di pasta (perciatelli o mezzi ziti), 250 g di salsiccia di maiale stagionata, 300 g di formaggio vaccino fresco (primo sale), 150 g di formaggio pecorino stagionato grattugiato, 70 g di olio extravergine di oliva, 8/10 uova, sugna e sale q. b.
Procedimento: lessare la pasta in abbondante acqua, poco salata. Scolata la pasta ben al dente, condire con l’olio extravergine di oliva e porre in una teglia unta di sugna. Aggiungere il formaggio primo sale, la salsiccia tagliati a dadini, il pecorino stagionato grattugiato. Infine, le uova sbattute. La ricetta tradizionale prevede la cottura posizionando la teglia sui mattoni del camino e coprendola con il “testo”, un caratteristico coperchio su cui viene posizionata brace mista a cenere. Una cottura lenta che fa sì che la scarpella acquisisca la caratteristica croccantezza. L’alternativa cottura al forno (180°) richiede circa quaranta minuti. Il tutto accompagnato da un immancabile bicchiere di Camaiola