Questo è un periodo davvero importante per il nostro Spirito e per gli animi che si preparano a vivere la propria rinascita personale, fisica e interiore. Durante le sere dell’intera Quaresima, certamente nei periodi lontani da quelli della pandemia, i fedeli, assetati di Cristo e di preghiera, tendono a rivolgersi con maggiore frequenza e devozione, con preci e rinunce, alla preghiera e alla Chiesa. Fiori, campane, il cerimoniale della lavanda dei piedi, tutte tradizioni sentite e vissute da chi davvero riesce a sentirne il richiamo dal profondo del cuore. Secondo il mio parere la Settimana Santa nel Molise è un momento davvero molto sentito. Certo, lo è per tutti, ma il picccolo Molise vive di tradizioni, fatte dei Passioni e devozioni, intense e forti. Uno degli eventi più sentiti sono le processioni del Venerdì Santo di Campobasso e Isernia, ma anche di Sant’Elia a Pianisi e di Termoli. La processione del Cristo morto e della Madonna Addolorata è uno degli avvenimenti più importanti di Campobasso ed è la celebrazione religiosa in cui i campobassani si sentono più partecipi. Si tratta di un lungo e triste corteo la cui caratteristica principale è il mesto coro di circa 700 persone che, in tutto il tragitto, intona più volte lo struggente canto Teco vorrei o Signore, composizione di inizio Novecento del maestro campobassano Michele De Nigris su versi di Pietro Metastasio. La processione del Venerdì Santo di Isernia, invece, si contraddistingue per la presenza degli Incappucciati, penitenti delle varie confraternite della città, così chiamati per il cappuccio che gli copre il volto e che in questo modo garantisce l’anonimato al rito della penitenza. Questi indossano lunghe tuniche bianche e sul cappuccio hanno una corona di spine, e l’unico segno di riconoscimento è la mozzetta, una mantellina che va sulla tunica, e che ha un colore diverso per ogni confraternita. Gli incappucciati trasportano sulle spalle i simboli della Passione del Cristo: i busti dell’Ecce Homo, le croci Calvario e le croci della Via Crucis .
La Pasqua porta con sè specifici rituali, che cambiano di zona in zona, e riportano con loro il concetto di rinascita e rinnovamento, interiore ed esteriore. E in Molise sono delle vere e proprie tradizioni che si rinnovano dall’antichità, e che ritrovano vita grazie al fatto che, di generazione in generazione, esse vengono tramandate. Lo stesso simbolo per eccellenza della Pasqua, l’uovo, è segno di rinascita e fecondità, di benessere e prosperità. Fino a qualche anno fa in Molise si usava allestire la Pupatta della Quaresima. Si tratta dell’abbozzo di una vechietta vestita con un panno nero che, alla base della sua gonna, mostrava appesi, in cerchio. tutti gli alimenti consentiti durante il periodo quaresimale, dalle pannocchie alle aringhe, dall’aglio alla pasta, fino al baccalà, il tutto da cuocersi nel modo più semplice possibile, senza fronzoli e senza grassi. Vi era, inoltre, una patata o una cipolla, alla quale erano conficcate sette penne di gallina, che corrispondevano alle sei domeniche quaresimali e al Sabato Santo, giorno in cui tradizionalmente si rompe il digiuno. Ogni penna si sfilava il venerdì, dopo le funzioni religiose; ecco, dunque, che la pupatta assumeva funzione di calendario: ogni piuma faceva le veci di ciò che si fa con le pagine del calendario che ormai fanno parte del passato. L’ultima penna veniva tolta il giorno del Sabato Santo, a mezzogiorno, quando le campane annunciavano la resurrezione. In mano la vecchia signora aveva fuso e cannocchia a rappresentare la pazienza ma anche il tempo che passa. La pupatta solitamente veniva appesa accanto al camino, specialmente negli ambienti più popolari e contadini e spesso si faceva colazione strofinando due fette di pane all’aringa che a essa era appesa. Tradizione che oggi, qualche anziano, porta ancora avanti. Oggi la pupatta viene appesa ai balconi, specie da chi non possiede un caminetto.
Tra le credenze popolari legate alla Pasqua non bisogna dimenticare quelle inerenti alle nozze, ossia al momento in cui prende vita una nuova famiglia. Un tempo il futuro sposo inviava alla sua amata dei ramoscelli d’ulivo e dei doni in oro, come monili, che solitamente ornavano i costumi tradizionali o i fazzoletti ricamati a mano. Le future spose, invece, si dedicavano a doni culinari, come la mpigna, un dolce fatto di quaranta uova che erano state messe da parte nei quaranta giorni quaresimali, e tre chili di mandorle spellate, fatte macerare nel latte e pestate nel mortaio. Il dolce presentava la forma di un panettone, o di una colomba, o di un cuore, o ancora di un cestino, sempre guarnita con uova sode. Rinnovamento e purificazione anche nelle case, con le immancabili pulizie della casa, che veniva lustrata e tirata a lucido in ogni sua parte. Il Molise è famoso per il suo pentolame in rame e specialmente questo veniva lucidato e lustrato a fondo, dato che era il vero e proprio orgoglio di ogni famiglia. Quando il sacerdote girava di casa in casa per benedire la famiglia e la dimora, il rame tirato a lucido veniva appeso e messo in bella mostra, e al prete, oltre a un’offerta in denaro, venivano immancabilmente date delle uova, in segno di buon augurio.
Di tradizioni gastronomiche il Molise è ricco, tradizioni che richiamano lo stampo rurale e quello della transumanza a cui il suo territorio ben si radica. Il Giovedì Santo ci si mette ai fornelli, e si comincia a impastare tutto ciò che verrà mangiato e regalato nei giorni sucessivi. A partire dal giorno del Venerdì Santo, quando tradizionalmente non si mangia carne e si fa digiuno. Un unico pasto potrebbe essere quello del fiadone, gli sciarun: si tratta di calzoni a forma di mezzaluna ripieni di bietole, acciughe e olive, oppure con un impasto fatto soltanto di uova e formaggio. Non mancano certamente quelli ripieni di insaccati, magari da mangiare in occasione del pic nic di Pasquetta, ma anche quelli dolci. Immancabile la frittatona di cinquanta o più uova, preparata tradizionalmente il Sabato Santo, cotta a fuoco lento, con fegatelli d’agnello e asparagi. Un vero e proprio rito che riuniva, e riunisce ancora, tutta la famiglia in cucina, nella preparazione. Essa accompagna l’immancabile agnello, che in Molise viene preferito cace e ova, e l’insalatona di Pasqua, fatta di verdure rude, uova sode e asparagi. E ancora la cicoria ricamata, minestra di cicoria cotta in brodo di gallina, uova e pecorino, che proprio da questo formaggio acquista un sapore particolarmente squisito. Le uova vengono aggiunte alla fine, strapazzate.. Come dolci, oltre alla pigna, ricordiamo ru cucuruozze, il cocorozzo, fatto dello stesso impasto e della stessa lievitazione del pane. La lunga lievitazione e la presenza delle patate consentono di ottenere un dolce particolarmente soffice, dall’intenso aroma di anice. Ricordiamo ancora la pupa, il cavallo e il cuore, che oggi vengono maggiormente prodotti in Abruzzo, che rinnovano le tradizioni culinarie e rievocano grandi storie d’amore. Oggi la pupa si regala alle bambine, il cavallo ai bambini e il cuore è dono di scambio tra innamorati. A Sant’Elia a Pianisi si dice che ”non si fa Pasqua senza la treccia“, che molto spesso viene decorata da uova sode. Le pastiere sono immancabili, nonostante siano d’origine campana, ma la vicinanza territoriale è tale che il profumo di arancia si sente in tutte le case molisane. E ovviamente cioccolata, tanta cioccolata, sotto forma di uova, campanelle e coniglietti, per la gioia dei più piccoli… ma anche dei grandi.
Giornalista