Siamo nel cuore del Sannio beneventano, nell’entroterra caratterizzato da ruralità e intensa attività agricola. Ponte è un piccolo comune che probabilmente deve il suo etimo a un ponte in pietra costruito dai romani sul corso del torrente Alenta, i cui resti sono ancora oggi visibili. Un territorio che ha restituito innumerevoli ritrovamenti archeologici, in prevalenza monete di età romana e la preziosissima fibula di bronzo sannitica che oggi viene conservata al Museo del Sannio di Benevento. Sull’antica via Latina che collegava Capua a Benevento, fuori dell’abitato di Ponte (extra moenia, dice un documento del 1354) sorgeva la Pons Sanctae Anastasiae, l’abbazia di Santa Anastasia, citata in un Diploma del 980, firmato dal principe longobardo di Benevento, Pandolfo di Capodiferro. Se vogliamo prendere per buona l’ipotesi che la costruzione risalisse a tale periodo, dobbiamo però considerare il fatto che tra i numerosi reperti portati alla luce nelle campagne di scavo alcuni sono databili a un’epoca più antica, probabilmente l’VIII secolo, sui resti di un’antica Villa romana. L’abbazia era divenuto vero e proprio punto di riferimento per gli abitanti del luogo, ma soprattutto per i numerosi viandanti che si accingevano a raggiungere la zona: tra questi, molti erano pellegrini diretti al Gargano che sostavano nella struttura per riposare e che lì lasciavano traccia del proprio passaggio con simboli scolpiti sui muri: tra questi, un volto umano delineato con ingenuità, orme di piede incise e sommari graffiti votivi. Dopo l’XI secolo, incursioni e saccheggi interessarono l’abbazia e la piccola comunità che vi apparteneva, tanto che i superstiti dovettero spostarsi sulla sommità della vicina collina, dove edificarono un castellum con cinta muraria, di cui sono ancora visibili le quattro torri.
L’abbazia era un punto di snodo per coloro che vi transitavano e fu trasformata nel tempo: già con l’avvento dei Longobardi assunse un aspetto romanico, mentre lo stile fu notevolmente raffinato dagli interventi dei maestri Comacini, cum machina, alternando la pietra grezza delle mura con il cotto abbozzato in maniera molto rude. Il luogo pietroso non poteva certamente far immaginare una costruzione diversa. La pietra utilizzata per la realizzazione dell’edificio fu lavorata dai maestri scalpellini di Cautano, aiutata da cittadini e artigiani del luogo. Nel XIII secolo vi fu l’aggiunta della torre, sempre in stile romanico, con monofore e affreschi che oggi non sono totalmente integri. Affrescata, si può notare una figura d’uomo barbuto, quasi genuflesso con la mano sporgente all’indietro: secondo gli studiosi, questa figura rappresenta una scena del Giudizio Universale. Nel 1964 si arrivò alla scoperta di una tomba contenente le spoglie di un guerriero longobardo, corredato di armi, conservato presso il Museo di Salerno. L’11 marzo 1934 il campanile e gli arredi sacri della chiesa furono distrutti a causa di un incendio, ragion per cui essa venne totalmente abbandonata, dato che del suo impianto rimasero solo le mura. Era talmente bella, un piccolo gioiello, che fu classificata da Mons. De Bellis perpulchra: “Ecclesia… S. Anastasiae… antiquae, et perpulchrae structurae est“. Nonostante i numerosi interventi e disastri subiti, nel 1964 è stata riconosciuta monumento storico del patrimonio nazionale. La chiesetta fu dedicata al culto della Madonna: l’idea era che l’immagine della Vergine potesse mitigare l’ascesa dei “nemici” della fede cattolica. I pastori che sostavano nei pressi del sagrato della chiesa, per far abbeverare gli animali, grazie a tale raffigurazione erano invogliati a fare il segno della croce, ringraziando Colei che aveva concesso tale ristoro. L’abbazia fu sede della parrocchia fino al 1569 anno in cui i cittadini di Ponte ne decisero il trasferimento nella chiesa della Santissima Trinità. Sul portale d’ingresso, all’esterno, è riscontrabile una scritta rozzamente scolpita, che riporta, oltre alla data 1641, il titolo e il nome “archipresbiter Maianella”: un Maianella fu effettivamente arciprete a Ponte tra il 1610 e il 1648.
Giornalista