Immagini dal Sannio: l’antica arte del tombolo di Gallo Matese

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Foto di copertina dal web

Oggi voglio raccontarvi di un’arte che affascina tutti gli amanti dell’artigianato, quello tramandato da generazioni e generazioni da donne che lo hanno portato avanti con dignità e ne hanno fatto scuola. A Gallo Matese, caratteristico borgo del Sannio matesino, la tradizione parla proprio della grande diffusione, in passato, di questa arte antica che oggi, purtroppo, sta scomparendo. Eppure, nei suoi vicoletti, talvolta è ancora possibile imbattersi nel ticchettio dei fuselli, accompagnato dal chiacchiericcio delle donne che portano avanti questa nobile arte. Fino a poco tempo fa, era molto frequente, sulle soglie delle case, al fresco dei portoni, appena cominciava un nuovo giorno, che le donne cominciassero a ricamare le loro meraviglie e dalle loro mani sapienti nascessero leggiadri merletti che divenivano corredo di qualche sposa o che andavano a vestire a festa qualche letto, divano o le pareti di qualche casa. Non che siano scomparsi i bei quadri di queste donne sugli usci delle loro case, ma certamente oggi se ne trovano di meno. Eppure, in pochissime unità, è ancora possibile trovarne. Tombolo nelle lenzuola, nei vassoi, nei quadri, tombolo nei cuscini, nei centrini, nelle orlature delle asciugamani, nei polsini di un abito elegante. E, benché questa tecnica sia purtroppo in via d’estinzione, affascina ancora moltissimo conoscerne le caratteristiche.

La lavorazione a tombolo consiste in un’arte molto difficile da apprendere, che richiede tempo e dedizione, e sembra che i tempi moderni non riescano ad andare a braccetto con queste due qualità. Si tratta di un’antica tecnica in cui viene appoggiato sul tombolo (cioè sul tamburo cilindrico imbottito di paglia pressata), il disegno su carta del pizzo che si vuol realizzare, per poi avvolgere i fili sui fuselli di legno. Tombolo, filo, sproccula, un uncinetto, il disegno da riprodurre, spille e tanta pazienza e dedizione sono le cose necessarie per la produzione dei manufatti a tombolo. Il filo di cotone, in passato, veniva acquistato nella vicina Isernia, la patria dell’arte del tombolo, che lì arrivò durante il Regno di Napoli nel XIV secolo e si diffuse grazie al lavoro delle monache residenti nel Monastero di Santa Maria delle Monache e di Santa Chiara, le quali ospitavano fanciulle della nobiltà partenopea, che si dedicavano a svariate forme d’arte, dalla pittura, alla musica, fino all’uncinetto. Il primo documento attestante la produzione di una trina a tombolo prodotta dalle religiose del convento isernino risale al 1503. Le sproccule sono dei pezzi di legno opportunamente sagomati, sulle cui teste viene avvolto il filo usato per il manufatto, mentre l’uncinetto serve per i lavori di rifinitura. Su un foglio semirigido di carta viene fotocopiato il disegno da riprodurre e, grazie alle spille, il filo viene intrecciato ad arte seguendo le linee del disegno. Una volta terminato, il manufatto può essere applicato a lenzuola, asciugamani, cuscini, in una cornice a mo’ di quadro, come base di un vassoio.

Foto dal web

Un lavoro davvero molto affascinante, dunque, che avrebbe bisogno di nuova vita e valorizzazione. Anticamente, applicazioni in tombolo erano inserite nei costumi tipici del folklore gallese, composto dalla cammisia, una camicia bianca con il  collo di merletto fatto col tombolo e le maniche larghe, strette al polso da un ricamo nquadrato e da nastri di colore bianco, rosa e celeste. C’era, poi, la unnella, vestito di panno pesante marrone, che da sotto il ginocchio scendeva con pieghe larghe. Sopra la unnella si portavano le cente, fasce di lana nera che si sovrapponevano nel numero desiderato, ornate da palline di lana pressata. Una di queste era orlata da frange e veniva tolta dopo quindici giorni dal matrimonio. Sotto alle cente c’era la c’miosa, un panno nero di forma quadrata, mentre sulla parte anteriore della gonna si portava r’s’nial, una specie di grembiule di lana bianca, con pieghe cucite, rifinito dalla tacca, una cintura rossa con decorazioni in oro. In testa si portava r’t’ccat’, cuffia bianca rifinita con un merletto lavorato a tombolo, la luminazione, e al di sopra la mappa, una stoffa gialla leggera, simile a una garza, rettangolare, che si piegava due volte sulla testa, trattenuta in vita dalle cente e che scendeva fino alla c’miosa. Dulcis in fundo, una parte importante e preziosa del costume: gli ornamenti in oro, r’ c’rciegl’, grandi orecchini, e fuorfc i curtiegl’, forbici e coltello che il fidanzato regalava alla sua donna.