Immagini dal Sannio: l’attività manufatturiera della lana a Cerreto Sannita

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Immagine di repertorio della lavorazione e manipolazione della lana

Cerreto Sannita, terra di arte e artigianato. Non un fenomeno contemporaneo, ma di artigianato cerretese si parla già da qualche secolo. E se si parla di artigianato, non necessariamente ci si riferisce all’arte figulina. Con le Immagini dal Sannio di oggi cambiamo settore, ma l’estro, la creatività sono sempre gli stessi, quelli di una comunità che ha tanto da insegnare. È la storia che parla.
Nei secoli passati, tra il Seicento e il Settecento, le attività artigianali e manifatturiere regnavano sovrane in alcune aree del Sannio. Erano queste che, maggiormente, tenevano in piedi la fiorente economia del luogo, grazie a tradizioni che sono rimaste vive per lungo, lungo tempo e di cui oggi restano nitidi ricordi e testimonianze di archeologia industriale.

A Cerreto Sannita, terra di pastorizia e allevamento, la faceva da padrona l’attività della tessitura della lana che era molto fiorente e redditizia, un vanto per il paesello titernino. Come accadeva anche a Guardia Sanframondi con l’arte della conciatura delle pelli, la manifattura della lana apportava molti benefici a livello economico. Arte, più che attività, che dal XVIII secolo è andata via via a scomparire: non solo, infatti, l’allevamento degli animali da lana cominciava a essere utilizzato perlopiù per il fabbisogno caseario, ma le tecniche più moderne e sofisticate di altri centri, anche esteri, riuscirono a soppiantare la manualità viva che fino ad allora persisteva a Cerreto.

Cerreto Sannita era sita in un territorio dedito alla transumanza, come buona parte dei paesi limitrofi. Pastori che dall’Abruzzo si incamminavano per arrivare in Puglia, per far in modo che nei periodi più freddi i propri animali potessero stare in zone più calde, e viceversa: in inverno pastori e bestiame percorrevano le vie erbose al contrario per poter tornare nelle zone fresche all’ombra della Majella. Questo accadeva anche con le pecore cerretesi che, nel XVII secolo, contribuirono a dar vita a un’attività molto fiorente, per l’appunto quella della manifattura della lana.
Come racconta lo storico Franco, la crescita di pecore fu talmente grande che un’ordinanza proibì l’utilizzo dei terreni del paese per attività affini all’agricoltura: questi, infatti, dovevano essere destinati al pascolo. La lavorazione della lana era più remuneratrice e importante e raggiunse anche i centri circostanti. La maggior parte delle famiglie cominciarono a dedicarsi a questo mestiere: uomini, donne, giovani si specializzarono nella tessitura e nella cardatura della lana e riuscirono a creare una vera e propria industria manifatturiera.
I pastori erano addetti alla tosatura degli animali, mentre le donne si occupavano della cardatura, filatura e tessitura; uomini giovani e meno giovani si specializzarono nel funzionamento delle macchine industriali.
Più soldi si guadagnavano grazie all’attività della lana, più investimenti venivano fatti nell’acquisto di nuove pecore e di altri macchinari. La lana raggiungeva svariati centri campani, ma anche pugliesi e dunque aree più lontane. Essa veniva utilizzata per svariate occasioni, cucita in sartorie specifiche per fini domestici, lavorata per la produzione del normale abbigliamento, ma anche a scopo militare.

Entriamo nel vivo della lavorazione artigianale. La lana veniva inizialmente unta con olio, di cui il territorio era (ed è) un egregio produttore, anche per poter essere ammorbidita, fino ad arrivare alla cardatura, filatura e tessitura. Quando il panno era stato sottoposto a questo importante processo, veniva immerso in una soluzione di acqua e soda, e poi infeltrito nelle gualchiere, fabbriche per sodare e follare i panni. Una volta compattato, il tessuto veniva posto su degli attrezzi in ferro che ne permettevano l’asciugatura. Infine, raggiungeva la tintoria.
A Cerreto era presente la Tintoria ducale, in dialetto Tenta. Era un edificio che presentava tre stanze, tutte adibite alla colorazione dei tessuti, che avveniva in vasche circolari. In altre stanze annesse erano presenti degli spandituri, sopra i quali venivano adagiati i panni tinti per l’asciugatura. Eppure, secondo quanto afferma Wikipedia “da un atto notarile dell’epoca si viene a sapere che i mercanti preferivano tingere i loro panni nelle tintorie private piuttosto che in quella ducale dato che in quest’ultimo opificio il gestore doveva pagare un forte fitto annuale ai feudatari e, in conseguenza, per recuperare i soldi, il gestore faceva poca spesa di colori pregiudicando così la qualità del prodotto. I feudatari però pretendevano il dazio sui panni tinti sia nelle tintorie private che in quella ducale, riscuotendo un carlino per ogni panno ‘lungo’ e mezzo carlino per ogni ‘panno stretto’”. Oggi la Tintoria ducale è un importante monumento di archeologia industriale cerretese.

Incrocio della cartoniera di Cerreto Sannita.
Foto di Giuseppe De Nicola

L’ultima fase della lavorazione era la incartonatura, oggi meglio conosciuta come calandratura: in questa fase, i panni leggermente inumiditi venivano passati fra due piastre di ferro roventi ricoperte da cartoni, a mo’ di pressa, le quali donavano loro un aspetto lucido e una conformazione liscia. Una fase fondamentale prima del confezionamento degli indumenti. Nell’attuale quartiere, oggi detto Cartenera, al centro del paese, era presente una importante cartoniera.
Le pestilenze, ma anche il terribile terremoto del 5 giugno 1688, danneggiarono la fiorente attività. Nonostante la straordinaria ricostruzione post bellica, nulla fu più come prima, né il numero di pecore del paese, né l’incisività che fino ad allora l’attività manifatturiera della lana aveva avuto.
Eppure, sembra che nonostante la crisi, nei tempi successivi a Cerreto Sannita si contavano ancora decine di gualchiere, ognuna delle quali aveva una tintoria annessa.