Quando osserviamo le antiche rappresentazioni pittoriche di eserciti e soldati, le guardiamo sempre come se di fronte avessimo immagini eroiche. Meno popolare a livello figurativo è, invece, la figura del guerriero sannita, l’eroe del Samnium. Una immagine plastica più volte rappresentata in Molise, come a Pietrabbondante, Campobasso o Bojano che conservano sculture statuarie di questo leggendario soggetto. A Pietrabbondante, sede del principale santuario dei Sanniti Pentri, sono conservati depositi di armi e parti dell’armamento dei combattenti, recuperati durante diverse campagne di scavo insieme a tanto altro materiale votivo. Oggetti bellici o armi di difesa che in seguito sono confluite nelle raccolte del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Testimonianze archeologiche, queste, che sono viva memoria storica di estremo valore per la ricostruzione di arte e civiltà sannitiche, dell’inconfondibile stile, della cultura e degli usi e costumi. E proprio lì, nel 1922, fu eretta la statua del guerriero sannita di Giuseppe Guastalla, che egregiamente ne evidenzia la figura, l’elmo con penne d’aquila e lophos, la corazza a due dischi, per ben coprire la cassa toracica, lo schiniere sullo stinco sinistro, la daga e lo scudo, il cinturone in lamina di bronzo sottile sotto la tunica di lino o pelle. È certamente la pittura vascolare la fonte più importante e preziosa per comprendere al meglio l’iconografia della figura del guerriero dei Sanniti nella statua di Pietrabbondante,
I soldati dell’esercito sannita, da quanto raccontano le tradizioni storiche, avevano una straordinaria carica e forza fisica soprattutto all’inizio delle battaglie. La loro veemenza era difficile da contenere, tanto che non una volta riuscirono a sfondare le linee romane. Quando penetravano in territorio straniero, subito si impadronivano degli sbocchi che si trovavano sul mare o nelle vallate e così attaccavano le zone e le città sottostanti. In caso di pericolo, si rifugiavano sui monti, ove edificavano città-fortezze adibite al ricovero delle genti, delle merci e degli armenti.
Le tradizionali armi utilizzate dai Sanniti erano il pilum, giavellotto di piccola dimensione, e un lungo scudo ellittico, diviso verticalmente in due da una nervatura con una borchia al centro: in ogni caso, si trattava di armamenti non troppo pesanti. Lo scutum non era di metallo, ma veniva realizzato con giunchi intrecciati, ricoperti da pelle di pecora nella loro parte esterna. Gli stessi Romani, inoltre, appresero dai guerrieri sanniti il corretto utilizzo di tali armi, oltre al migliore impiego della componente della cavalleria. Dai Romani venivano visti come soldati estremamente violenti: si diceva, infatti, che essi non risparmiassero nessuno che capitava loro a tiro. Eppure non era così: la storia ci ricorda che durante la battaglia delle Forche Caudine, i Sanniti risparmiarono la vita a molti soldati di Roma. Preferirono provare pietà o compassione piuttosto che essere artefici di un eccidio, nonostante avessero per la prima volta piegato al loro giogo il più importante, illustre, esercito che esistesse. Il più glorioso, tanto che i Romani stessi si vergognarono non poco nel momento in cui dovettero ritornare a casa. Una leggenda narra che i Sanniti, per addolcire gli animi dei vinti, prepararono per loro un dolce morbido e dal sapore inimitabile, che oggi conosciamo come Cupedia, il torrone morbido caratteristico del periodo natalizio. Lo storico Polibio tramanda che l’esercito sannita comprendesse 70mila fanti e 7mila cavalieri.
Giornalista