Immagini dal Sannio: l’Hortus Conclusus, armonica ricerca tra Uomo e Natura

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In copertina, l’Hortus Conclusus.
Foto di Roberto Corrado

Hortus conclusus è un nome di chiara derivazione latina, e nella sua accezione antica indica un giardino chiuso e un luogo segreto e isolato dove gli asceti potevano avvicinarsi a Dio tramite la meditazione. Era la tipica forma di giardino medievale, caratterizzante conventi e monasteri, con una zona verde dalle dimensioni solitamente contenute, circondata da alte mura, dove i monaci coltivavano essenzialmente piante e alberi per scopi alimentari e medicinali, e nel quale potevano praticare una profonda meditazione, avvicinandosi, al contempo, a Dio.
L’Hortus Conclusus per eccellenza del Sannio beneventano è quello del convento di San Domenico, circondato da mura ispirate a quelle esistenti in città nel periodo longobardo, con mattoni e aggiunte disordinate di pietre e bronzi. La pavimentazione di questo piccolo gioiello cittadino è molto simile a quella degli antichi borghi. Il termine hortus viene legittimato da un gran quantitativo di verde: cespugli, alberi, roseti, palme, gigli, con installazioni permanenti di Mimmo Paladino, l’ecclettico artista di Paduli che, viaggiando molto, è riuscito negli anni a cogliere influenze di svariate parti del mondo, tra le quali quelle primitive e tribali del Sud America. Non è un caso, infatti, che l’artista abbia realizzato numerose sculture totemiche e svariate installazioni a tema. E in questo caso Paladino, con i suoi richiami al mito e alla storia della città di Benevento, ha voluto donare al visitatore e alla comunità un messaggio di armonia che può crearsi ed esistere tra Uomo e Natura. Si tratta di una installazione permanente che l’importante esponente del movimento artistico della Transavanguardia ha realizzato nel 1992, in collaborazione con gli architetti Roberto Serino e Pasquale Palmieri, e il designer Filippo Cannata.
Molti studiosi spiegano il sito come un misterioso giardino costruito da civiltà mitiche […] che ci raccontano un rapporto con la vita, il tempo e la natura basato su un pensiero magico e non razionale. Un messaggio di pace, un superamento dei conflitti, una ricerca di armonia tra l’uomo e gli spazi e gli elementi che lo circondano.

È certamente il Cavallo di bronzo l’elemento che maggiormente contraddistingue l’Hortus, sovrastandolo e dominandolo dall’alto del muro, quasi a sua guardia. È questo un tema ricorrente per l’artista, una figura equina che indossa una maschera d’oro, a richiamo, probabilmente, del mito del cavallo di Troia e della fondazione delle più importanti città. Un fedele amico e alleato dell’uomo nelle battaglie, almeno secondo la simbologia antica. E certamente il cavallo in questione richiama alla cavalleria sannitica.
Un Disco, collocato al centro dello spazio, sembra uno scudo caduto dal cielo dal quale zampilla l’acqua. Come nella leggenda di Numa Pompilio, dove Marte inviò sulla terra lo scudo che cadde dal cielo a simboleggiare l’eterna invincibilità di Roma. La fontana lascia sgorgare l’acqua che viene raccolta in un catino, che richiama la quotidianità dei tempi antichi. Ma quello dell’acqua è anche un richiamo alla vita ed è l’elemento più presente nell’installazione, il cui rumore, secondo l’artista, rievoca il silenzio e aiuta nelle riflessioni.


Una struttura architettonica rossa è posizionata sul fondo del giardino, con una grande fontana, una vasca e una panchina di cemento colorata. Sulla struttura vi è un terrazzo pavimentato in coccio, cui si accede tramite un corridoio: su di esso si trova un Totem. E tra le varie fontane ne emerge una dalla forma umanoide con le braccia protese da cui spuntano delle piccole teste.
Altre teste sono collocate sull’Ombrello capovolto, tra cui una umana con delle lunghissime corna, e altre autonome. Tra queste, una Testa equina, gli Elmi, il Teschio di bue, quest’ultimo a richiamo delle origini beneventane. E ancora una Conchiglia e una Campana che, assieme agli altri elementi, rendono il giardino un vero e proprio luogo magico e misterioso, a cui si accede alla fine del rappresentativo e suggestivo vico Noce di corso Garibaldi, pittoresca via non molto distante dalla chiesa di Santa Sofia.

Particolari.
Foto di Antonio De Ianni

Un giardino, dunque, quello dell’Hortus Conclusus beneventano, che sembra avere con sé fondamenti mitici, totemici, ricco di riferimenti arcaici e leggendari. La sua forma rettangolare richiama i quattro angoli dell’universo, e l’albero al centro è simbolo della vita e fonte di conoscenza. Quando vi si accede sembra di catapultarsi in un mondo parallelo, in una dimensione surreale, in un’opera d’arte a cielo aperto, in “un’opera di silente magia”, come reca una iscrizione al suo ingresso. E bisogna stare attenti nella ricerca delle sculture. perché, se alcune sono molto grandi e ben visibili, altre si nascondono tra la vegetazione e diversi elementi.
Nel 2005, a tredici anni dalla sua realizzazione, è stato effettuato un restauro del complesso che già presentava i primi segni di abbandono. La supervisione dei lavori è stata effettuata dsllo stesso Mimmo Paladino. I bronzi sono stati ripuliti e trattati contro la corrosione degli agenti atmosferici; sono state cancellate le scritte dalle panchine, il verde è stato curato, le fontane sono state riattivate. È stato inoltre installato un chioschetto ottagonale, ideato da Alessandro Mendini.

Recentemente si è tenuto un ulteriore restauro grazie ai fondi del Programma Integrato Città Sostenibile-PICS. La novità è lo Spazio Eventi adiacente: una nuova area, già in passato adibita a concerti, conferenze e rappresentazioni teatrali, riprogettata per divenire uno spazio per eventi, manifestazioni e spettacoli, ma anche punto di incontro e di riferimento all’interno del contesto sociale e urbano. La novità è anche il progetto di illuminazione, che ha come obiettivo è quello di guidare il visitatore, attraverso la luce, a una progressiva scoperta delle opere “nascoste” all’interno del giardino, in un’atmosfera di pace e di intimità.