Sono poche centinaia le anime che popolano Mundunurë, il borgo di Montenero Val Cocchiara, in provincia di Isernia, situato a cavallo dell’alto bacino del Sangro e del Volturno, in quei luoghi che nell’antichità erano abitati dal ceppo pentro dei Sanniti. E la presenza sannita è confermata, in loco, dai resti di cinte murarie poligonali, a Monte Castellano e Pozzo Dattone. Tombe sannite preromane, altresì, sono state scoperte a nord-ovest del “Pantano”, in località Vallocchie. Il nome deriverebbe dalla crasi degli etimi di due villaggi che si trovavano nella zona intorno all’anno 1000, Montenegro (Mons Niger, citato nel Chronicon Volturnense nel 975 come appartenenza dell’abbazia di San Vincenzo al Volturno) e Malacucchiara. Quando i due borghi si fusero in un unico paese, diedero vita all’abitato che conosciamo oggi. Si tratta di un centro prevalentemente agricolo, sito in un paesaggio arido, quasi carsico. Il suo centro storico, tra stradine lastricate, gradinate, archi, portali, balconi e loggette settecentesche, è molto affascinante e caratteristico, grazie alle sue antiche case in pietra grigia locale che si mimetizzano con il terreno sassoso, immerse in un paesaggio che alterna rilievi rocciosi con poca vegetazione a spaziose aree dedicate al pascolo. Delle strutture più importanti potrei citare il Palazzo Ducale, risalente al 1891, ma anche le chiese di Santa Maria del Carmine, di San Nicola, le cappelle dell’Assunta, di San Martino, San Sebastiano e Sant’Antonio Abate. La più importante e che maggiormente spicca è quella di Santa Maria di Loreto, a tre navate, con altari di marmi policromi, un coro in legno di noce intagliato e un porticato formato da diciassette aperture sul fianco. L’organo è opera di Giuseppe De Marino della Cappella Palatina di Napoli. In una cripta si trova la reliquia di San Clemente, trasportata a Montenero Val Cocchiara da Roma nel Settecento, prelevata dalle catacombe di San Callisto. A Montenero, nel settembre 2015, venne inaugurato il Momu- Molino Museo della tradizione contadina locale. Si tratta di un progetto nato da un’idea di Daniela Ricci, una napoletana che ha dato nuova vita a un antico mulino ad acqua a pala orizzontale, nei cui ambienti interni, ristrutturati, insieme alle macine e alla ruota, rispettando la struttura originaria, sono stati raccolti testimonianze e reperti della civiltà contadina.
Il paese di Montenero ha conservato intatto il suo fascino nel bel mezzo di un’oasi naturale al confine con il Parco Nazionale d’Abruzzo: parlo del Pantano, che ricade nel Sito di Interesse Comunitario (SIC) denominato Pantano Zittola – Feudo Val Cocchiara, una delle più importanti paludi dell’Italia del Sud. Si tratta del fondo di un antico invaso, in circa 300 ettari di palude, una torbiera, che in autunno le grandi piogge e le sorgenti sotterranee inondano al punto da formare un lago. È alimentato da venticinque sorgenti naturali e perenni, nei pressi di numerose grotte, una delle quali in passato fu sicuramente abitata. Nella zona vi sono numerosi faggi, a quota più alta, e cerri, a quota più bassa. La località è luogo di sosta per uccelli migratori come la cicogna, il croccolone, il gufo reale, l’albanella reale, l’airone, l’astore e il falco. Riguardo alla microfauna, sono numerose le specie di insetti prima sconosciute, a testimonianza della peculiare biodiversità dei luoghi. Ma innanzitutto, il Pantano di Montenero è noto per i suoi principali “abitanti”, ossia i cavalli pentri, caratteristici esemplari equini della zona: innumerevoli, infatti, se ne contano nei pascoli al confine con l’Abruzzo. Fino a pochi anni fa, a Montenero si svolgeva una famosissima manifestazione equestre. Si tratta del Rodeo Pentro, appuntamento tipico di agosto, una gara con cavalli bradi, i cavalli pentri, appunto, cavalcati a pelo, senza sella, da improvvisati cavalieri indigeni, in un contesto che somigliava molto alle gare del West americano. L’economia del paese si caratterizza proprio per gli allevamenti di cavalli e bovini, attività che ben si coniugano con l’ambiente incontaminato e la suggestione dei luoghi che ne fanno meta di turismo naturalistico. Cavalli bradi molto irrequieti venivano guidati e domati da improvvisati cavalieri indigeni, che cavalcavano senza sella questi fantastici quadrupedi, come se si stesse vivendo nel vecchio West americano. Secondo alcuni studiosi la ricorrenza risalirebbe addirittura al tempo dei Sanniti. Infatti, seguendo i racconti storici relativi alla battaglia di Aquilonia, si rileva che l’antico popolo molisano impiegò un reparto di circa diecimila cavalieri durante il conflitto, e da ciò si può dedurre che gli italici sfruttassero molto le mandrie equine presenti sul territorio dell’Alto Molise, soprattutto per scopi militari. Un appuntamento che vedeva accorrere numerosi spettatori dalle più disparate località molisane e del circondario.
Giornalista