Immagini dal Sannio: San Barbato di Castelvenere, l’apostolo del Sannio che convertì i Longobardi

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San Barbato da Roma venivatre parm’ e’ musso e sette parm’ e barbatre signurine davanti ha trovato e s’hanno fatto la risa e l’hanno beffato. “Voi vi fate la risa e la beffa? Lu pilo de lo capo int’a la zizza se ne possa andare e come umane voi non avite allattare”.

Quello appena letto è l’inizio di una tradizionale filastrocca riportata da Paola Caruso nel suo libro Santi Spiriti Streghe (Ed. Realtà Sannita- Benevento 2001). Castelvenere, il piccolissimo borgo dell’entroterra beneventano a forte vocazione vitivinicola, custode dei vigneti tra i più famosi d’Italia, è il paese di origine di San Barbato, il santo sannita di cui purtroppo non si hanno molte notizie certe. Nacque nel 602 in contrada Foresta, nei pressi del locale convento basiliano. Fin da giovanissimo fu mandato a Benevento, ove divenne massimo dotto nelle sacre lettere e si consacrò all’apostolato della parola. Divenuto sacerdote, iniziò il suo ministero a Morcone e, nominato parroco della chiesa di San Basilio, fu ingiustamente calunniato, ma in seguito richiamato a Benevento e scagionato e, da allora in poi, rispettato persino dai Longobardi. Si impegnò così a fondo nella lotta contro le superstizioni e l’idolatria che, quando morì il vescovo Ildebrando, il clero e il popolo di Benevento lo elessero come suo successore sullo scranno vescovile. Era il 664.

Barbato aveva una certa influenza sulla intera comunità del meridione d’Italia, sia dal punto di vista etico, che culturale e religioso. Erano tempi critici per l’intera popolazione, e il vescovo riuscì comunque nell’impresa di ristrutturare tutta l’organizzazione diocesana della sua zona, ottenendo risultati straordinari, dando una nuova disciplina alle parrocchie, facendosi carico lui stesso della gestione di alcune di esse che sembravano procedere in maniera sregolata, come quella di Telesia. Nel 668 unì la diocesi beneventana a quella di Monte Sant’Angelo, sul promontorio del Gargano, formando una sorta di metropoli della quale lui fu guida per oltre diciotto anni. Per questa sua magnificente opera fu detto Apostolo del Sannio.

Incisione beneventana del XVIII secolo raffigurante l’abbattimento del Noce da parte di Barbato

Tra le principali opere alte di San Barbato la più importante è, senza dubbio alcuno, la vicenda che lo vedeva in grado di convertire i Longobardi al Cristianesimo. Alla fine del VII secolo, infatti, fu grazie a lui se a Benevento, e in tutto il Ducato, i Longobardi abbandonarono il vecchio modo di vestire e cominciarono a dimenticare la loro lingua madre. Modificarono persino le proprie abitudini insediative. Inoltre, fino a poco tempo prima questi venivano seppelliti in tombe a schiera, al di fuori dei centri abitati veri e propri; nel periodo di Arechi II già da tempo preferivano essere seppelliti vicino alle più importanti chiese site all’interno delle città. Benché fossero battezzati, i Longobardi continuavano a adorare idoli come la vipera d’oro e gli alberi sacri. Barbato, introducendosi nel loro territorio, riannodò la tela della cristianità tra la gente sottomessa e avanzò i primi timidi tentativi di conversione di questo popolo, che inizialmente risultarono deludenti. Barbato, però, non si arrese e perseverò, cercando di ampliare, nel frattempo, una chiesetta posta al centro della città, sorta agli inizi del secolo sulle rovine di un tempio pagano, là dove una volta era situato quello dedicato a Iside. Nel posto esatto in cui fu tagliato il Noce delle streghe, il Santo fece erigere un tempio con il nome di Santa Maria in Voto.

Le reliquie di Barbato si trovano in parte nel Santuario di Montevergine, in provincia di Avellino, e in parte nel duomo della città di Benevento. Un pezzo di osso di un braccio è custodito a Castelvenere, nella chiesa parrocchiale di San Nicola. San Barbato è patrono di diverse città, tra queste, ovviamente, Benevento e Castelvenere.