I Sanniti costruivano le loro cinte murarie con grandi blocchi di pietra e non vi è alcun dubbio del fatto che è proprio la pietra a predominare nella conformazione della maggior parte dei borghi del Beneventano e della Pentria. E in particolare, ci sono due piccolissimi paesi che sono dei veri e propri cuori pulsanti incastonati nella pietra.
Uno è Pescopennataro, sulla Val di Sangro, in provincia di Isernia, chiamato proprio “Paese della pietra” ma anche “Borgo degli Abeti”. Un minuscolo nucleo urbano di origine normanna di poco più di 200 abitanti, a circa 1.200 metri di altezza sul livello del mare, le cui prime tracce nella storia risalgono attorno alla fine del V secolo d.C., con la fondazione da parte dei Longobardi. Originariamente venne chiamato Castrum Peschi Pignatari, ossia la “fortezza che spunta dal terreno” con riferimento al pesculum, la roccia acuminata, e agli alberi di conifere che la rendono patria degli abeti. Dal 1028 divenne prima Pesclo Pignatario per poi assumere l’attuale toponimo. Pescopennataro è ricordata per tre gravi eventi: prima il sisma del 1805 che colpì il Matese, poi la morte di diverse persone per tifo, a causa dell’avvelenamento di acqua potabile, e infine la parziale distruzione del centro abitato a causa di un incendio appiccato dai soldati nazisti nel 1943. Il suo borgo, nonostante le ben dodici chiese che contava (oggi ne rimangono molte meno) ha visto mano mano perdere i suoi abitanti. Un notevole fenomeno di spopolamento che però non ha minimamente intaccato ogni sua forma di tradizione e le caratteristiche paesaggistiche ben conservate.
A Pescopennataro restano ancora le tracce del suo passato grazie alla “Porta di sopra”, arco medievale che conduce alla chiesa Madre. Ricordiamo la fontana di piazza del Popolo e il suggestivo Belvedere del Guerriero Sannita, sul quale era una statua bronzea. È molto copiosa la presenza litica al Rio Verde, dalle acque oligominerali sempre fresche, con abbondanza di siti e reperti, e per questo si ritiene che la zona dell’Alto Molise sia un’area di grande interesse per gli studi preistorici. In questo piccolo borgo è sito il Museo della Pietra “Chiara Marinelli” in cui è custodita una collezione unica di ritrovamenti preistorici che provengono da tutta la regione. I reperti preistorici sono la testimonianza più importante per poter comprendere l’origine dell’attività degli scalpellini che nell’antichità ha dato fama ai pescolani. L’intera sezione, Pietra nei Secoli, proviene dalla collezione dell’agnonese Pietro Patriarca e della moglie Fortuna Ciavolino che ne hanno curato l’allestimento. I due hanno anche donato al Museo un originale presepe assemblato con pietre naturali, levigate esclusivamente dall’acqua e dal tempo. Il materiale recuperato è testimonianza sia del Paleolitico che del Neolitico. Vi sono anche originali monili e piccoli idoli caratteristici e preziosi. La sezione Mario di Tullio è dedicata all’opera dei tanti scalpellini di Pescopennataro. Caratteristico monumento della pietra viva di Pescopennataro è anche l’eremo di San Luca, situato nel bosco e ricavato in una grandissima grotta calcarea nei pressi di Sant’Angelo del Pesco.
È già stato detto che Pescopennataro è anche il paese degli abeti bianchi, seppure nei suoi boschi si contino tantissimi abeti rossi, faggete e cerrete, tra i quali vi sono diversi percorsi e sentieri dedicati agli amanti del trekking o dell’escursionismo. Ammirevole anche il Parco di Pinocchio, ovvero un sentiero allestito nel Bosco dell’Impero con sculture ispirate al libro di Carlo Collodi e realizzate da vari artisti italiani. Il borgo comprende due Aree S.I.C., Siti di Interesse Comunitario: quella del Bosco della Vallazzuna e quella del Bosco degli Abeti Soprani. A Pescopennataro è possibile soddisfare il palato di coloro che cercano prodotti tipici di una tradizione gastronomica genuina e a chilometro zero. Protagonista della cucina locale è la carne fresca o sotto forma di salumi e anche l’olio extravergine di oliva, grazie alla natura incontaminata che caratterizza l’intera regione, le sue colline verdi e le fresche pianure molisane.
San Lupo è un piccolo e delizioso borgo della provincia di Benevento che conta circa 800 abitanti, così chiamato in onore del vescovo francese San Lupo di Troyes. La sua nascita viene collocata a cavallo del millennio, quando i monaci benedettini vi si trasferirono dal convento del capoluogo per coltivarne la terra e ampliarvi i possedimenti. Da feudo demaniale sotto i Normanni, divenne molto tempo dopo possedimento dei Caracciolo e dei Carafa, fino all’avvenuta abolizione della feudalità nel 1806. Anche questo paesino, come la maggior parte dei paesi circostanti, fu distrutto dal terremoto del 5 giugno 1688, ma subito dopo fu ricostruito. Il piccolo paese fu interessato da episodi di brigantaggio. Tante altre le traversie subite dal territorio sanlupese, tra cui il grande flusso migratorio di fine Ottocento verso il continente americano e quello del secondo dopoguerra verso le terre australiane. È un borgo ricco di acque e sorgenti e rilevante è il bacino idrico che oggi, purtroppo, è ridimensionato dall’interferenza delle fondazioni e dagli spianamenti e cementificazioni a causa dell’imperversare delle strutture eoliche.
San Lupo, in provincia di Benevento, conserva un centro storico molto caratteristico, fatto di antichi vicoli, viuzze, stradine e piazzette, con archi e pontili realizzati in pietra levigata locale dagli abili scalpellini del posto, detta perlato di San Lupo. E infatti la pietra la troviamo ovunque, passeggiando per il caratteristico borgo: strade, portali, architravi, fontane, il famoso ponte delle Janare, che lega il paese alla tradizionale presenza di Janare e streghe e riti sabbatici. Una leggenda vede protagonista la giovane figlia di un demone e una strega, il cui corpo venne risucchiato dal fiume e il cui fantasma è ancora possibile “sentire”. Personaggio storico di eccellenza del paese fu il cavaliere Achille Jacobelli, che aveva rapporti eccellenti con Ferdinando II delle Due Sicilie, e che ospitò a San Lupo insieme alla moglie Maria Cristina di Savoia. A proposito di pietra, storica è la Fontana Sant’Angelo, sita in un luogo dove sorgeva un monastero benedettino, realizzata nel 1614 in pietra sanlupese, con tre getti d’acqua intervallati da mascheroni e da una figura femminile. Sulla fontana sono inseriti due stemmi araldici e delle scritte in latino che invitano i pellegrini a dissetarsi: “Hospes si nescis haec levat unda sitim“. L’altra interessante e bella fontana è la Fontana Capodacqua, con nove getti d’acqua, che scrosciano impetuosamente da quattro rosoni e altrettanti mascheroni in pietra, con al centro una sirena bicauda. Nell’antica grancia dell’abbazia di San Lupo, che un tempo sorgeva in località Cortesanta, vi erano delle maestose colonne in granito, che probabilmente in origine facevano parte di qualche tempio dedicato a divinità egizie, portate alla luce da scavi risalenti agli inizi degli anni Trenta del secolo scorso.
San Lupo è un centro agricolo la cui economia è basata prevalentemente sull’agricoltura e sui secolari e pregiati uliveti e sui tanti vigneti presenti. Il suo ambiente naturale, rigoglioso e incontaminato fa sì che sia meta di escursionisti, specialmente nel periodo estivo, che possono godere delle belle aree attrezzate come la Pineta di Monte Croce e l’oasi di protezione naturale del Monte Petroso, con il suo piccolo lago montano. Il borgo è anche terra di radicate tradizioni: è il paese del Fagiolo della Regina, una varietà locale molto antica, prodotto tipico proveniente da una pianta autoctona unica del territorio e difficile da reperire, così chiamato per essere stata regalata nell’Ottocento da Achille Jacobelli alla sua ospite regina dei Borbone. Tipici prodotti della gastronomia sanlupese sono la ‘mbanatella, caratteristico piatto a base dei suddetti fagioli, e i peperoni imbottiti.
Giornalista