Immagini dal Sannio: taralli e struppoli, delizie salate del Titerno

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Potrei nominare tante delizie della terra del Titerno, terra di ulivi e vigneti, patrimonio di olio e vini pregiati, che l’Italia, e anche il mondo, ci invidia. Zona di una caratteristica cultura gastronomica, quella povera e contadina, tramandata da generazioni e generazioni e che sopravvive a ogni forma di contaminazione estera o di nouvelle cousine. La valle del Titerno offre un variegato ventaglio di prodotti che la terra ci offre e che le sapienti mani delle massaie sanno trasformare. E le bontà salate di cui sto per parlare sono due dei prodotti tipici di questa ricchissima e ridente terra sannita. Tradizioni culturali che le nostre nonne ci hanno tramandato e che sono diventate la caratteristica di due fiorenti borghi sanniti: San Lorenzello e San Salvatore Telesino, che ne hanno fatto dei prodotti oggi considerati dei veri e propri souvenirs delle due cittadine. San Lorenzello è la patria dei taralli all’olio d’oliva e San Salvatore Telesino è quella degli struppoli; due prodotti che, personalmente, non faccio quasi mai mancare nella dispensa della mia cucina e che mi piace riassaporare in tanti diversi contesti.

TARALLI DI SAN LORENZELLO – Farina di grano tenero, lievito, olio extravergine d’oliva delle terre titernine, di cui, tra l’altro, San Lorenzello è importante produttrice, sale, pepe e semi di finocchio: ingredienti semplici, sani, genuini, che fanno di questo prodotto un’eccellenza sannita. Il tarallo nacque con uno scopo ben preciso, quello di far fronte alla fame che colpiva le persone più povere del ‘400. Abbiamo già detto che, oltre a essere terra di olio, la valle titernina è terra di vini. Quelli pregiati, quelli che ci invidiano un po’ ovunque. Quale abbinamento perfetto di un tarallo con un buon bicchiere di vino? O di un tarallo in una buona insalata di pomodori, al posto di pane o crostini, o con dei genuini salumi? Vi racconto un aneddoto: nella vicina Telese Terme, la tradizione vuole che il “battesimo della telesinità” sia il tuffo di un tarallo in un bicchiere di acqua sulfurea. E, solitamente, si tratta dei taralli laurentini, venduti all’interno delle terme telesine proprio per portare avanti questo tradizionale rito. E, infatti, i telesini (ve lo dice una telesina!) sono soliti bagnare i taralli con acqua sulfurea per poterli mangiare assoluti o insieme a una buona insalatina. A San Lorenzello sono parecchi i biscottifici artigianali che preparano e vendono questo prodotto tipico, anche chiamato m’scuott, allo stesso modo in cui li si preparavano un tempo: il grano usato deve essere tenero per assorbire bene l’acqua, le farine solo le migliori macinate a pietra di tipo “1”, ottenute dalla molitura di questi antichi grani sanniti. Il lievito deve essere ricavato dalla pasta madre, l’acqua la si utilizza tiepida tra i 20 e i 30 gradi e prima di versarla viene salata, olio esclusivamente di zona, che dà all’impasto quel tipico gusto a cui i sanniti sono abituati, e che lo rende croccante e friabile, che ne esalta la semplice e al tempo stesso nobile fattezza e, alla fine, l’aggiunta di quel tocco in più, rappresentato dai semi di finocchietto selvatico. E poi, come ogni prodotto artigianale, l’impasto, la lenta lavorazione, le mani sapienti di chi mescola e impasta, fino a formare dei bastoncini della lunghezza di circa 15 centimetri, che vengono intrecciati tra loro, a cui segue una lenta lievitazione. Per un momento queste piccole, preziose bontà affondano e risalgono nell’acqua bollente, per poi entrare in forno, rigorosamente a legna. Ecco la sua doppia cottura, da cui la parola bis-cotto, cotto due volte. E se volessi portare a un amico i taralli come souvenir dalla bella San Lorenzello? In quel caso, oltre alle classiche buste di taralli, possiamo acquistare la famosa ‘nzerta, la collana di taralli che vengono infilati dalle sapienti mani degli artigiani gastronomici del luogo.

STRUPPOLI DI SAN SALVATORE TELESINO – Chiedere a un sansalvatorese quale sia il piatto tipico, vuol dire sentirsi alludere a un golosissimo sfizio salato, che proprio sfizio non è. Parlo dello Struppl, lo struppolo. Non un dolce, sia chiaro, ma un manufatto culinario che tutto il Sannio invidia a questo paese. Perché se è pur vero che i taralli, nelle varie varianti, vengono prodotti un po’ ovunque, lo struppolo lo troviamo solo a San Salvatore o sulle tavole del nord di cittadini sansalvatoresi, o nei panifici e nelle botteghe gastronomiche degli abitanti di questo paesino del Sannio beneventano. Per poter acquistare con facilità gli speziati rustici telesini l’appuntamento è con l’annuale sagra a essi dedicata che si tiene nel mese di settembre. Ma dire struppolo non vuol dire struffolo: non parliamo del dolce preparato con miele e canditi, tipico del napoletano e del periodo natalizio. Lo struppolo è un rustico dall’aspetto tondeggiante, ma ruvido, oblungo che si distingue per il suo colore dorato, dato dall’olio dell’impasto e da quello della cottura. Un impasto che ancora una volta vede i caratteristici sapori del Sannio: la farina, l’olio, le uova, il sale, il pepe, che lo rendono leggermente speziato. Non è facile stabilire le origini e la tradizione di questo rustico, che comunque conserva le tradizioni della cultura popolare e contadina. Certo è che la sua nascita è antichissima, risale alla cultura sannitica, o romana e probabilmente si trattava della versione salata dei crustoli, dolci calabresi di cui riprendono la tradizionale forma. Un’epigrafe trovata negli scavi archeologici effettuati nell’antica Telesia conservata presso il Museo Civico Archeologico di Telesia, ci parla proprio di un banchetto a base di mulsum et crustulum, da cui l’ipotesi della loro provenienza. La differenza che ha con i taralli è che qui non si parla di cucina povera: troppe uova e tanto olio da farli rientrare in cibi adatti a sontuosi banchetti, celebranti abbondanza e ricchezza. La ricetta si tramanda di famiglia in famiglia, di nonna, mamma e nipote, con la medesima preparazione che ha sempre qualcosa di soggettivo che ne rende il sapore unico. È ancora in corso una diatriba sulla necessità o meno di aggiungere il lievito all’impasto. Ogni famiglia conserva la propria versione della ricetta e che il lievito venga usato oppure no, i rustici si rivelano comunque saporiti e deliziosi, specialmente accompagnati da salumi e formaggi della zona oltre che, naturalmente, da un buon vino che tolga la sete. Anche in questo caso, infatti, l’abbinamento ideale, vista la sua secchezza, è quello con salumi, formaggi stagionati e un buon bicchiere di vino: tutti prodotti di cui le terre sannite abbondano. Il vino, a dire il vero, è essenziale: nel gergo sansalvatorese lo “strupp’l adda ndurzà nganna” e deve invitare a bere.

Foto di copertina: la ‘nzerta di taralli, per gentile concessione di Alessio Verna.