Un fascino senza tempo viene emanato dalle memorie di Telesia, città romana di origine sannita situata nella odierna Valle Telesina, nel territorio che oggi appartiene al comune di San Salvatore Telesino, in una fertile pianura alla confluenza del fiume Calore con il Volturno. Un ameno luogo immerso in spazi verdi e grandi distese di campagna, aree boschive, vigneti, uliveti e numerose sorgenti d’acqua.
Originariamente, San Salvatore Telesino corrispondeva all’antica Tulosiom sannitica, e alla Telesia nota come colonia romana, riconosciuta come urbs foederata, presidio militare sillano di cui fece menzione lo storico Tito Livio, i cui resti sono oggi visibili in un parco archeologico, lungo la Piana Vagnara, che conserva, appunto, le antiche rovine della città romana. Luogo che purtroppo, al momento versa in stato di semi abbandono.
Qui si può ammirare il circuito delle mura perimetrali in opus reticolatum, ove si aprivano le quattro porte principali di accesso alla cittadina, più alcune secondarie, sull’antica Via Latina che univa Telesia a Beneventum, le torri difensive di forma cilindrica e tutta la vita del burgus all’interno.
Tuttavia, secondo alcuni storici, la città si trovava originariamente sul monte Acero, ed è proprio lì che, ancora oggi, si possono trovare i resti di un’antica fortificazione. Le mura megalitiche ivi presenti, databili tra il VII e il VI secolo, secondo le tecniche stilistiche e di costruzione più arcaiche, sono caratterizzate da massi molto spessi e irregolari. Sempre secondo questi storici, il suo centro fu spostato in età romana nella piana dove ancora oggi si possono ammirare i resti. Una posizione strategica nel sistema viario del Sannio, crocevia di importanti strade che provenivano dai maggiori centri sanniti, come Caiazzo, Alife, Venafro. E Telesia, grazie anche a questo crocevia commerciale, era una città opulenta, ricca, di grande risonanza, dotata di un proprio teatro, di un circo, di rinomate terme, del proprio foro e di una propria moneta, grazie alla quale riusciva a essere in prima linea sull’economia del circondario.
Le prime evidenze archeologiche della città furono trovate quasi per caso. Era la fine dell’800, infatti, quando un gruppo di persone, alla ricerca di un antico convento, trovarono i resti del primo insediamento Neolitico. Scavi che proseguirono e che poco alla volta portarono alla luce altre particolarità del periodo del Ferro: il basamento di una palafitta, oggetti di uso quotidiano e una sepoltura.
La leggenda racconta di un nutrito gruppo di giovani che, durante il rito del Ver Sacrum, si avviò in loco per esplorare. Il dio Marte, sotto le spoglie di toro, li condusse nella terra degli Osci, nei pressi della sorgente del fiume Titernio. Da questa colonia nacquero poi le città che nutrono di vita la valle titernina, tra cui anche Tulosiom.
La città di Telesia fu menzionata per la prima volta nel 217 a.C., quando fu conquistata da Annibale, il quale la occupò per circa due anni fino a quando, nel 214 a.C., fu Quinto Fabio Massimo a espugnarla, portandola sotto il dominio e la potestà di Roma. Nei secoli successivi, per la sua importanza strategica, fu al centro delle sanguinose e lunghe lotte politiche dei Longobardi meridionali e venne addirittura devastata dai Saraceni nell’847 e nell’863; intorno all’anno 1193 fu incendiata. A causa di questi catastrofici eventi, molti abitanti di Telesia decisero di abbandonarne il centro fondando nuovi nuclei abitati in zone che, grazie alla loro posizione, potessero essere più facilmente difendibili. Fu così che presero vita i centri abitati di San Lorenzello, San Salvatore Telesino, Frasso Telesino e il primo nucleo dell’attuale Telese Terme.
Polibio racconta che Telesia fu occupata da Annibale, al tempo della Seconda Guerra Punica, perché era “priva di mura ma ricca di merci”. Inizialmente era una città dal tipico impianto rurale fino a che, allargando i propri orizzonti e le proprie risorse, divenne un importante centro commerciale e mercantile, con un’affermata attività locale artigianale. Scambi, vendite, commercio le diedero il lustro e la nomea di importante centro a livello commerciale e con una forte crescita economica. Questo è testimoniato anche dalle numerose monete di Isernia o caiatine ivi rinvenute, mentre una moneta autoctona, risalente al III secolo, fu ritrovata a Cales, la quale rientra tra gli oboli campani di bronzo, con la scritta osca, retrograda, TERIS. da pronunciarsi Tedis.
Lungo la cinta muraria si aprivano quattro porte principali e alcune secondarie: una occidentale che volgeva verso Capua ed era posta in prossimità dell’Anfiteatro; una a nord era volta verso Alife, Venafro e Cassino; la porta orientale si apriva verso l’entroterra del Sannio beneventano; un’altra volgeva verso il Volturno; una verso il Calore.
II foro era il centro principale della vita politica, sociale e commerciale. Era quello il luogo in cui veniva deciso il destino politico ed economico della città, una piazza, nella tipica accezione dell’agorà greca, un punto di incontro dei cittadini tra di loro e anche con le istituzioni locali, un luogo in cui dar vita a scambi commerciali e culturali. Grandi strade di passaggio lastricate allo stesso modo delle piazze, mentre le vie interne avevano dei lastroni di impatto visivo minore. In alcuni punti, come nella zona dell’anfiteatro, è tutt’oggi possibile ammirare una pavimentazione in ceramica con piccole mattonelle policrome.
Nonostante la folta vegetazione che oggi copre tale bellezza, si possono facilmente riconoscere l’arena dell’anfiteatro dalla forma circolare ellittica e la cavea, suddivisa in tre ordini di gradini. Qui era possibile assistere a spettacoli di gladiatori e naumachie. Un vecchio rudere chiamato La Connola (la culla) è certamente un antico sepolcro, di grandi dimensioni, considerando che presso i Sanniti i corpi dei defunti della stessa famiglia venivano riuniti tutti insieme. Questo si trova nei pressi della basilica paleocristiana. L’acquedotto seguiva il naturale percorso delle acque che, provenienti dalla montagna di Sant’Angelo, sopra Cerreto, andavano a raccogliersi in una grande cisterna posta in prossimità delle mura. E, a tal proposito, è da ricordare che nel periodo di massimo splendore della città vi era una perfetta organizzazione dell’intero sistema idrico, affidato a magistrati delle acque: aquae curatores, citati in alcune epigrafi e iscrizioni, in seguito catalogate dal Mommsen.
I Longobardi si insediarono nei territori già esistenti di Telesia, e nella zona del Vescovato, chiamata Episcopio, nell’attuale centro urbano di Telese Terme, in via Roma, oggi è visibile la Torre longobarda-normanna, edificata dapprima con i Longobardi e ultimata dai Normanni con il piano campanario, ceduto con il terremoto del 1349. Fu questo un evento che rivoluzionò la vita di Telesia e modificò la sua stessa esistenza. Il sisma distrusse completamente la città, la Telesia Nova, che si estendeva fino all’attuale Quadrivio di Telese Terme, radendola al suolo, e causando l’apertura delle sorgenti di acqua solfurea, sia nel territorio telesino, sia nei territori circostanti. Le scosse furono numerose e intense e causarono sprofondamenti e sconvolgimenti del suolo da cui ebbero origine stagni, paludi e il Lago. La zona di Telese comunemente detta Acqua fetente è la più antica della città e fu cosparsa da esalazioni di anidride carbonica e solforosa, le cosiddette mofete, particolarmente letali alla respirazione che furono la causa dell’abbandono della città da parte dei cittadini e dei vescovi, a causa delle malattie che un clima così malsano portava. Si ingrandirono nuovi centri abitati come Cerreto, Vicus San Fremundi, Solopaca. I vescovi abbandonarono Telesia e vagarono nella diocesi in cerca di una dimora stabile che, alla fine, trovarono nel XVI secolo a Cerreto Sannita.
Giornalista