Comunicato Stampa – Coordinatore Regione CampaniaDott.Giuseppe Cataldo
Da inizio anno, in Italia, si contano 96 donne uccise, dati drammatici di ‘femminicidi’ di cui 82 in ambito familiare da un amore malato! Episodi accelerati anche dalle restrizioni alla mobilità imposte dalla recente emergenza pandemica, con un incremento del 80% delle chiamate al numero di emergenza e ai centri anti violenza. A questi episodi noti si aggiunge poi il sommerso di un disagio mai denunciato, fatto di maltrattamenti, minacce, illegittime violazioni della libertà e tentati omicidi. Solo il 12% delle donne uccise aveva denunciato e altro dato preoccupante risulta essere l’allarme giovani perché diminuisce l’età degli autori delle violenze. Il problema principale è decisamente di natura culturale!
Viviamo in un Paese finora incapace di rieducare a rapporti di relazione e familiari sani, con superamento definitivo di retaggi culturali ormai anacronistici, ancorati a modelli familiari lontani dal sentire sociale ed incompatibili con il pieno riconoscimento della pari dignità dei generi, che presenta sullo sfondo un panorama desolante di deriva valoriale. La chiave di volta è di certo in una sollecitazione delle coscienze, mediante un’opera adeguata di sensibilizzazione, informazione e rieducazione, che veda una sinergia d’azione tra gruppi politici, servizi sociali, forze dell’ordine, magistratura, sistema sanitario e scolastico.
Accogliamo con favore la buona notizia del “reddito di libertà”, misura appena entrata in vigore a “tutela” di donne vittime di violenza seguite dai centri antiviolenza riconosciuti dalle Regioni, cui spetta il compito di rilasciare una dichiarazione della reale condizione di necessità in cui verte la richiedente. Allo stesso tempo, però, non possiamo evitare di riflettere sulla sua insufficienza sia nella sostanza che nel principio. Ci chiediamo, infatti, se sia corretto dare un “contributo temporaneo” a vittime, peraltro limitandolo a chi ha avuto la forza ed il coraggio, o per meglio dire, la possibilità di denunciare ed affidarsi a tutele riconosciute, o se non fosse preferibile creare uno strumento radicato e strutturato in grado di sostenere la reale indipendenza di chi subisce violenza o nella possibilità di subirne. Riteniamo, dunque, che lo Stato debba impegnarsi per intervenire prima piuttosto che tentare di sopperire nel dopo, con azioni a supporto della donna vittima o potenzialmente vittima, mettendo in atto strumenti snelli ed adeguati alle situazioni reali, guidando, accompagnando per mano e difendendo.
Ènecessaria dunque una rivoluzione culturale ed una rivisitazione dell’impianto giuridico in modo funzionale a prevenire e dirimere il fenomeno oltre alla necessità di una politica integrata di visione per fare rete a supporto di queste vittime. A tal fine Meritocrazia Italia propone:
- un impegno costante e crescente del sistema scolastico che, insieme al nucleo familiare, favorisca l’educazione al rispetto per l’altro e la valorizzazione delle diversità;
- una crescita qualitativa e quantitativa, con maggiore capillarità, dei centri anti violenza sui territori, per una risposta più immediata e tempestiva, con una più opportuna distribuzione delle risorse economiche dedicate, a sostegno non solo della vittima ma dell’intera famiglia partecipe degli eventi;
- una maggiore attenzione alle politiche attive del lavoro dedicate alle donne, affinché si creino condizioni di indipendenza per dare la possibilità di maggiore autonomia e di sentirsi più libere e serene nell’esercitare i propri diritti, perché l’autonomia economica, congrua e duratura, è lo strumento fondamentale ed imprescindibile per ridefinire qualsiasi percorso di vita;
- un sistema di welfare capace di fare rete intorno alle donne, favorendo scelte congeniali a una maggiore indipendenza di vita, non per il tramite di sussidi sporadici, ma con strutture di supporto della maternità;
- l’implementazione di case di comunità per gli uomini accusati di violenze fisiche e/o psicologiche conclamate, che si occupino di costruire percorsi di recupero psicologico;
- l’istituzione di percorsi formativi specifici, fin dal periodo universitario, per creare figure specializzate sia nel mondo giuridico che nelle forze dell’ordine, per poter accogliere con competenza le donne che, recuperando fiducia nelle istituzioni, trovano il coraggio di denunciare la violenza subita;
- maggiori poteri del giudice civile in materia di separazione per anticipare i tempi di un eventuale codice rosso e, in caso di informativa penale, valutare i presupposti della previsione come ulteriore misura cautelare verso chi si macchia di violenza di genere della permanenza in un “istituto di recupero sociale”;
- calmierare i costi di eventuali perizie medico scientifiche di parte al fine di non gravare con anticipazione di spesa sulle donne oggetto di violenza