Lettera di don Mimmo Battaglia alla comunità

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Il pastore che osò sfidare il vento

Il pastore aveva sfidato il vento del deserto, il gelo delle notti più profonde. Lo avevano rischiarato e accompagnato le albe più sfavillanti e generose che avesse mai visto prima. “Oh stella cometa! Ormai sono giorni che cammino e che fatica per questo deserto senza fine! Ho lasciato la mia terra, la mia famiglia e le mie pecore per seguirti! Dove mi conduci? Dove sono?” E così, camminando e pensando: “Scorgo delle flebili luci… finalmente il ristoro, un po’ di conforto!” Il pastore dalla Giudea arrivò a Betlemme seguendo, come i Magi, la luce bianca, vivida, costantemente presente lassù, nel cielo della vita.

“Buon uomo, c’è una festa?”

“Si, e che festa per gli uomini, gli animali, gli alberi, i torrenti e per tutte le creature del cielo.”

“Quanti pastori con i loro greggi sparsi sui monti e che andirivieni di donne indaffarate… ma dove si dirigono? Dove corrono? Oh stella, sei ancora lì, ferma, immobile su quella grotta. Quasi quasi vi entro; ho tanto bisogno di un po’ d’acqua e di pane… qualcuno si muoverà a pietà di me.”

I calzari del pastore erano a brandelli, gli occhi arrendevolmente stanchi e nelle mani callose, arse dal sole, egli stringeva ancora il possente bastone che aveva segnato ogni suo passo: uno dopo l’altro. Incerto e cautamente, entrò nella piccola grotta. “Questa è una stalla! Ma quanta gente! Quanta luce!” Il suo sguardo si posò oltre “Ma c’è la stella cometa! È entrata dentro! Oh mio Dio, come ha fatto!”, mentre i suoi occhi giravano e rigiravano alla ricerca di altro, di qualcosa che gli facesse capire realmente dove si trovasse in quel preciso istante. “Che uomini ben vestiti davanti a me, devono essere dei re! Sono inginocchiati… cosa fanno? A loro non posso chiedere dove mi trovo perché non mi risponderebbero… sono straniero e per giunta un povero pastore!” Intanto, dopo aver deposto il bastone, tra gli sguardi presi e assenti della gente che fluttuavano nell’aria umida ma stranamente calda, il pastore avanzò e… avanzò fino alla luce, che lo investì.

Avvicinati, non aver timore!” si levò una voce soave che non era proprio da neonato o da ragazzo, ma sicuramente era una voce non comune che continuò “So da dove vieni, volevo averti qui, senza di te sarebbe stato diverso… mi mancavi!”.

“Chi… io?” “Si. Tu sei il pastore che raduna le pecore più ribelli della Giudea per condurle al pascolo con la maestria pari all’amore e all’impegno che ci metti! Avvicinati. Io sono Gesù e sono appena nato.”

“Sei il Messia?” “Si, Lo sono.”

Il pastore cadde di colpo, battendo forte le ginocchia già dolenti sul sassoso e impervio suolo della grotta.

“Mio Signore, non sono degno neanche di incrociare il tuo sguardo, ma in questo momento sono felice, non sento fame e né sete!” E con un sospiro prolungato e liberatorio, continuò “Cosa può volere da me, misero uomo, il Figlio di Dio?”

“Pastore, alza gli occhi perché ti voglio fare un dono.”

“Mio Gesù, sono io che avrei dovuto renderti omaggio almeno con del latte o del formaggio, ma non sapevo dove sarei giunto e, principalmente, quale grande miracolo mi attendeva: il miracolo dell’amore che eleva anche un misero uomo come me.”

“Alza lo sguardo, mio pastore, li vedi tutti i bambini che mi stanno intorno? Sono tutti bambini del mondo che vivono una disabilità… ci sono tutti. Essi sono gli anelli d’oro che legano il mio cuore al cuore di tutti gli uomini. Si fidano di me ed io di loro. Ed è straordinario che quando il loro sguardo incrocia occhi indifferenti o di commiserazione, non si abbassa, anzi, essi regalano un sorriso. Ma la cosa più bella è che nessuno lo ha insegnato loro! Sono questi bambini che mi hanno accompagnato alla vita; sono loro che mi hanno cullato quando mia madre riposava; sono loro che mi hanno sussurrato le prime parole d’amore; sono loro che hanno giocato con me e per me hanno costruito sonagli intrecciati di giunco e di corda. Sono ancora loro che mi hanno fatto sorridere e mi hanno allietato nell’attesa di te. I bambini che affrontano la disabilità sono le mie braccia aperte; sono le mie gambe. Io per loro sono carrozzina robusta su cui possono adagiarsi ma anche correre sicuri; sono letto su cui abbandonarsi a sognare; sono parola quando viene loro a mancare; sono loro il mio primo sogno, il sogno più bello!”

Il povero pastore frastornato ed estasiato: “Mio Gesù, non ho mai visto tanti bambini tutti insieme! Perdonami, ma non vedo la loro disabilità! Ho davanti solo tanti bambini felici!”

“Mio pastore, a te affido questa felicità che riesci a toccare. Tu solo puoi custodirla, proteggerla, perché tu sei l’umiltà, scudo dell’umanità, e con essa li riparerai. Hai dimostrato di camminare senza sosta portando un sogno fra le mani mentre il tuo sudore bagnava il deserto dello scetticismo, dell’indifferenza e del compatimento vestito per l’occorrenza con l’abito della festa della compassione. Mio pastore, sei la semplicità che fa breccia nei cuori chiusi, aridi; solo e senza alcuna paura ti sei affidato alla stella.Sei gentile, caritatevole, vero… come la Natività che hai di fronte. Sei l’arrendevole mitezza di cui c’è tanto bisogno ma sei anche lo stupore che aiuta a far venire alla luce ciò che è recondito, ben nascosto dentro di noi. Le tue mani callose rialzeranno e sosterranno i genitori dei miei bambini nei momenti di afflizione. Andrai oltre le apparenze e perciò romperai le barriere del disinteresse che si interporranno fra loro e il resto del mondo; cucirai le loro vesti con corde di legami giusti, equilibrati, autentici. A te li affido! Prenditene cura! Mio pastore, questi bambini proprio per la loro disabilità sono gli interpreti più autentici della nostra bellissima vita. Essi, felici, fanno le giravolte sotto la pioggia attendendo pazienti che ritorni a brillare il sole; sono la prova dell’esistenza perché sanno sfidare le avversità; sono le parole che disegnano la curiosità nell’aria a forma di palloncini colorati. Sono respiro, gesto, sguardo. Sono i delicati fiori dei prati e tutte le stelle del firmamento… Essi sognano il mio sogno perché non conoscono il tramonto, ma solo la speranza dell’alba… e basta così poco per renderli felici! E tu, pastore senza tempo, non mi cercavi ma mi hai ritrovato proprio mentre posavi il bastone e le tue gambe erano ormai più forti e robuste. Sei il padre e la madre di ognuno di loro; sei l’amico generoso perché, nel guardarli, sei capace e senza consapevolezza, di regalare loro i tuoi sogni; sai guardarli con occhi sapienti, ricchi, sinceri che vanno oltre qualunque diversità o differenza o disabilità. Sei tu la mia scommessa nel futuro della vita di questi bambini. Perché sei tu la comunità che sogno per i miei bambini con disabilità. Sei tu la comunità presente e futura, vibrante di un amore sofferto ma forte, avvolgente, concreto nell’azione quotidiana. Prendili per mano ed entrate nel cerchio della vita dove i nostri bambini benedetti saranno i protagonisti della loro esistenza. Comunità, gioisci con me! E questo è e sarà bellissimo!”