Anna Foa, difficile che dall’apertura degli Archivi vaticani emerga qualcosa di determinante su Papa Pio XII e la Shoah

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E’ una “leggenda che il Papa Pio  XII sia stato amico dei nazisti, perché la Chiesa ha aiutato gli ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale”, ma è “difficile” che dall’apertura degli Archivi vaticani, prevista il 2 marzo, per il Pontificato di Pio XII emerga qualcosa di determinante su papa Pio XII e la Shoah, perché lasciare tracce scritte sarebbe stato molto pericoloso in quel periodo”: è l’opinione dell’esperta di storia ebraica e già docente di Storia moderna presso l’Università Sapienza di Roma, Anna Foa, intervenuta al laboratorio interdisciplinare organizzato dall’Università Giustino Fortunato dedicato al tema della Shoah e dal titolo ‘Memoria, didattica e diritti’. Il coordinatore del laboratorio, professor Paolo Palumbo, docente di diritto ecclesiastico e canonico presso l’Unifortunato ha introdotto il quarto appuntamento previsto dal Laboratorio ricordando che domani si celebrerà la giornata del dialogo cattolico ebraico per iniziativa della Conferenza episcopale e che l’evento prepara alla giornata della memoria del 27 gennaio.

L’incontro, al quale hanno partecipato tantissimi studenti che hanno seguito con grande interesse gli interventi, è stato l’occasione per riflettere, con il supporto dei più recenti studi storiografici condotti dalla stessa Foa, sull’atteggiamento che Pio XII e la Chiesa Cattolica ebbero durante l’Olocausto, anche in vista della prossima apertura degli Archivi vaticani per il Pontificato di Pio XII.

È difficile che l’apertura degli Archivi vaticani, secondo la professoressa Foa, “possa sanare la contrapposizione tra chi condanna Pio XII, per non aver parlato ad alta voce contro le deportazioni, e chi ricorda gli aiuti concreti che la Chiesa ha dato agli ebrei in quel periodo, anche aprendo i conventi di clausura per nasconderli”.  E’ improbabile infatti che “fenomeni come la violazione della clausura, siano avvenuti senza la volontà del Papa, però lasciare documenti scritti sarebbe stato molto pericoloso”. Inoltre, ha detto l’esperta, “la Chiesa ha rifornito le zone di Roma in cui erano rifugiati ebrei e badogliani, dopo l’8 settembre. Il Papa infatti non aveva riconosciuto Salò ma il regime di Badoglio”. Per l’esperta i nazisti sapevano quello che stava facendo la Chiesa e c’era una sorta di patto: “Io so quello che fai e non intervengo ma tu non protesti apertamente, anche perché va detto che il Papa in quel periodo aveva paura che Roma diventasse terreno di scontro, che venisse invaso lo Stato Vaticano e che lui stesso venisse arrestato o rapito”.

Forse, ha osservato l’esperta, “una condanna a voce alta del Papa sarebbe servita ma non possiamo saperlo. Io penso che quello che ha nuociuto all’immagine del Papa non è stato tanto il suo comportamento durante la guerra, perché subito dopo la Liberazione gli ebrei hanno ringraziato il Papa, ma è quello che è successo dopo, durante la costruzione della memoria. Io credo che la Chiesa abbia perso l’occasione storica di prendere vantaggio da quello che aveva fatto durante la guerra per aiutare gli ebrei e portare avanti la memoria. Invece Papa Pio XII dopo la guerra ha ripreso le file dell’antigiudaismo, di cui era erede, e lo ha fatto senza metterlo in discussione. E la costruzione della memoria della Shoah, che non è cominciata subito ma negli anni ‘50 perché l’Europa era devastata e gli ebrei stessi inizialmente volevano rimuovere quanto accaduto, è avvenuta nell’assenza della Chiesa o contro la Chiesa”.

Sul tema della memoria si è soffermato il professor Leonardo Lepore, Docente di diritto dell’antico oriente mediterraneo presso l’UniFortunato: “la memoria è qualcosa che supera la semplice conoscenza, che non implica la partecipazione emotiva a un fatto. La memoria, etimologicamente, significa far ritornare al cuore. Conoscere i fatti del passato ma allo stesso tempo rivivere anche quei vissuti emotivi. Si tratta quindi anche di leggere le storie di quei volti che partivano su quei treni”.  Nel suo intervento il prof. Palumbo ha invece ripercorso il cammino del dialogo ebraico-cristiano dalla fine della guerra ad oggi soffermandosi in modo particolare sui gesti, le decisioni e i discorsi di Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Papa Francesco individuando una continuità di tutti i pontefici sul tema della crescita e del rafforzamento nel dialogo con i “fratelli maggiori” dell’ebraismo. Sono state ricordate le visite dei pontefici ad Auschwitz e alle Sinagoghe di Roma fino ad arrivare al lavoro della Pontificia Commissione per il dialogo con l’ebraismo ed alla pubblicazione del primo documento tematico della chiesa cattolica sulla Shoah datato 1998.

Durante l’iniziativa sono intervenute anche la prof. Oriana Palusci, neodirettore dell’Istituto Universitario per Mediatori Linguistici “SSML Internazionale”, la quale ha sottolineato come “ricordare la Shoah nel 2020 non possa essere un atto retorico ma implica la conoscenza aggiornata di fenomeno che così doloroso da mettere in discussione la stessa ida di modernità e invitare al silenzio” e l’assessore comunale all’Istruzione, Cultura e Unesco, Rossella Del Prete. L’assessoreha portato i saluti della città e ha ricordato le tante collaborazioni in atto sia con l’Unifortunato sia con l’Istituto SSML Internazionale, ringraziando l’ateneo telematico per le attività che mette in campo e che condivide con il territorio, come quelle “sul tema della Shoah che è importantissimo e su cui si comincia a riflettere nelle scuole”. La storia, ha precisato “è fatta di documenti che vengono raccontati e dobbiamo affidarci a fonti per essere certi di ciò che si tramanda”.

Collaborano al progetto del laboratorio, anche i docenti dell’Unifortunato delle cattedre di Didattica, Storia della pedagogia, Filosofia del Diritto, Fondamenti del diritto europeo, Diritto dell’antico oriente mediterraneo, psicologia dinamica e filosofia, nonché esperti e studiosi di altri atenei ed associazioni.