Comunicato Stampa – Ufficio Stampa Forum dei Giovani Benevento
“Il Forum dei Giovani di Benevento intende oggi, con tutti voi, condividere una riflessione a partire da questo stralcio di testo che abbiamo selezionato e che impone necessariamente alcune osservazioni: il ricordo della barbarie della Shoah non può rappresentare solo un momento di commemorazione di tante vite sottratte alla libertà e sacrificate in nome di una follia. Non può perché impone, guardando agli episodi del passato, a «lanciare lo sguardo oltre» affinchè, comprendendo il presente con le giuste chiavi di lettura, si possa (ri)costruire la nostra società. La Shoah deve farci interrogare sui danni che l’uomo – e una visione politica senza scrupoli – è stato capace di provocare solo pochi anni addietro: senza perseguire la stella polare dell’eguaglianza sostanziale tra
gli uomini, la solidarietà e la protezione dei diritti inviolabili dell’uomo ogni forma di amministrazione della cosa pubblica, come è stato dimostrato, diventa un crimine, ed essere passivi davanti alla violazione di un diritto fondamentale di uomo significa essere correi e non “imparziali”.
Va respinta, con forza, l’idea che si tratti di questioni del passato e pertanto irripetibili: gli episodi di violenza neonazista e neofascista di cui siamo stati spettatori in questi tempi rappresentano il campanello di allarme di uno strisciante – e nemmeno troppo – fenomeno da reprimere attraverso la condivisione della «giusta cultura» nelle scuole, nei bar, per strada. In ogni luogo dove saremo presenti, dovremo con forza contrapporci ad ogni minimo fenomeno di tal tipo, reagire – per non finire “bolliti” come la rana di Chomsky – all’assuefazione e alla «normalizzazione» di fenomeni (come l’aggressione – di poche ore fa – ad un ragazzino di dodici anni perché ebreo, da parte di due giovanissime ragazze) che rappresentano l’embrione di una svolta negativa che si impone sempre più forte in nome di non meglio specificati “antichi valori”, “sicurezza pubblica”, “liberalismi di vario genere”.
E così proponiamo la lettura di un brano di Davide Schiffer che ha vissuto l’atrocità delle leggi razziali sulla sua pelle ma, valga di insegnamento per tutti, nella vita ha saputo reagire al suo dolore e diventare negli anni un importantissimo studioso di neurologia. L’ultimo tratto del passo scelto, con un’iperbole, rappresenta il rigetto che ognuno di noi deve avere davanti a tanta ingiustizia e quella voglia, insita in quelle parole, di un riscatto.
Davide Schiffer si sente colpevole di innocenza; vittima di un’ingiustizia senza senso, carnefice del padre al contempo. Fare memoria oggi, nel 2022, significa operare affinché non vi si senta costretti anche al rimorso di essere stati persone «di sani principi, rispettose del prossimo e del pensiero altrui, contrarie alla violenza»”.
Davide Schiffer, Non c’è ritorno a casa… Shoah, resistenza, dopoguerra Torino, Società Editrice Internazionale, 2008 – L’arresto.
Un giorno funesto di fine febbraio 1944 vedemmo mio padre rientrare stranamente dal lavoro a metà pomeriggio, scuro in volto, accompagnato da un carabiniere con il fucile. Il carabiniere era stato mandato ad arrestarlo sul posto di lavoro ed aveva acconsentito ad accompagnarlo a casa per prendere la “roba”. Doveva portarlo in caserma. Mio padre raccolse pochi stracci in una coperta, piangendo ci salutò ed abbracciò tutti, tirò fuori dalla tasca cento lire, frutto dei suoi faticosi e celati risparmi, li dette a mia madre, pallida in volto ed impietrita dall’evento. Si avviò con il carabiniere armato verso la caserma. Lo accompagnammo sulla strada e lo seguimmo con lo sguardo fino alla curva della statale e poi sparì. Non posso dire come trascorremmo quella sera, non me lo ricordo. So però che al nostro dolore rimase completamente estraneo il pensiero che saremmo rimasti senza mezzi di sostentamento, come gli amici del cortile avevano commentato il giorno dopo. Nostro padre era stato arrestato perché di razza ebraica, e dai carabinieri, e non era più con noi! Tutti sapevamo quanto soffrisse in quei momenti per avere dovuto abbandonare la famiglia al proprio destino. Quante volte mi sono pentito nella mia vita di essere un bravo ragazzo, di sani principi, rispettoso del prossimo e del pensiero altrui, contrario alla violenza, quante volte mi sono odiato perché in quel momento non mi è venuto in mente di assalire il carabiniere con una pietra, un bastone o comunque di farlo fuori insieme a mio fratello Ede. Mi sono lasciato portar via il padre, come un imbecille, uno stupido. Anche se non potevo nemmeno lontanamente immaginare quale sarebbe stata la sua sorte, avevo il dovere di fare qualcosa per lui e non l’ho fatta.