“Prendi il mio cuore, mia cara terra, la sua parte più intima e più vera, le mie lacrime prendi”
Christina Rossetti
Lo dico sempre: il mare è il rimedio naturale per ogni tristezza e malinconia, e il confine sottile tra l’immensa distesa d’acqua e il cielo segna quel punto lontano che ci proietta nell’infinito, dove il tempo è privo di definizione, dove il tempo non esiste affatto. Quando la mente ha solo bisogno di andare altrove, un tuffo, seppur virtuale, aiuta a superare ogni momento che vorremmo accantonare, per lasciar spazio a quella speranza e a quella gioia che solo un’immensa distesa blu riesce a donare. Se è vero che il colore dell’introspezione e della riflessione è quello di cielo e mare, allora sono nel posto giusto. E sono a Vasto, città ricca di storia e fascino, un borgo che riesce sempre a tendere le mie attenzioni verso sentimenti alti, che seguono l’infinito e oltre.
Passeggio e non mi stanco sulla loggia della poesia, la Loggia Amblingh, una splendida balconata sospesa a picco sul mare, quel golfo incantato dove sogni e speranze prendono forma, tra le onde sottili e i gabbiani che le sovrastano. Sono sospesa sull’immensità del contatto di cielo e mare, tra i mattoni pregni di storia della città di Vasto e le sottostanti campagne d’ulivi, aranci e orti che scendono verso la bella distesa blu. Un solo colpo d’occhio, un solo battito di ciglia, per ammirare il bellissimo golfo d’oro di Vasto, disegno perfetto fra le colline del vicino Molise, le propaggini della Montagna Garganica e le Isole Tremiti. La loggia prende il nome dall’austriaco Guglielmo Amblingh di Graz, segretario di Cesare Michelangelo d’Avalos, residente a Vasto all’inizio del Settecento. Alte e storiche case, stretti, eleganti e caratteristici vicoli, su questo belvedere mozzafiato, che hanno ospitato per anni pescatori, facchini, discendenti di scudieri marchesali o di cavallari, impegnati nelle ricognizioni costiere per avvistare le navi turche: passeggio nel quartiere di Santa Maria che rappresenta bene lo spirito popolare vastese. Quello spirito alto e altezzoso, elegante e semplice, dove si respira la vita del mare e la sana voglia di viverlo. Proseguendo la passeggiata arrivo all’alta casa di Gabriele Rossetti, oggi sede di una delle Biblioteche comunali. Più avanti, l’unica porta urbica medievale rimasta della città, Porta Santa Maria, detta anche Porta Catena, con arco a sesto acuto sormontato da una graziosa loggetta.
Vado più in là, lascio questo luogo di poesia che sprizza da tutti gli angoli e mattoncini che mi si parano davanti, che si leggono sui muri e si respirano guardando l’infinito, e mi ritrovo a Palazzo d’Avalos, uno dei più significativi esempi di architettura rinascimentale abruzzese della seconda metà del Cinquecento, di stampo romano, sorto su preesistenze romane e altomedievali, che ha inglobato i resti dell’edificio quattrocentesco costruito dai Caldora. Il palazzo simbolo di Vasto, che ospita al suo interno quattro musei: il Museo Archeologico, che documenta la storia della città e del territorio, la Pinacoteca, con le opere della famiglia di pittori di Filippo Palizzi, partecipe delle più importanti correnti artistiche dell’Ottocento, Mediterranea, la collezione di Arte Contemporanea con opere di artisti italiani e spagnoli, e il Museo del Costume Antico, che comprende una raccolta di dipinti raffiguranti abiti tradizionali e una collezione di abiti abruzzesi degli inizi dell’800 e dei primi del ‘900. Amo perdermi nella sua arte e nella grande cultura che qui dentro si respira. Ma riesco a perdermi maggiormente nello spettacolare giardino napoletano, affacciato sul mare, riportato all’antico splendore da un restauro che gli ha restituito l’originale impianto tardo settecentesco. Mi siedo qui e osservo l’infinito. Come un pittore, come un sognatore. Come chi cerca di restare con i piedi per terra ma non può, perché qui si riesce solo a volare. “E ‘l naufragar m’è dolce in questo mare”.
Giornalista