Negli anni ’70, di fronte all’ingresso delle Terme, sul muretto che delimita i giardinetti, si inscenava un piccolo mercatino di prodotti della terra da parte di anziane signore venute a vendere quel poco che i loro monti, aspri e scoscesi, riuscivano a produrre. Tra le cose che attiravano l’attenzione degli avventori c’erano, anche, delle brocche in terracotta che noi chiamavamo u Ciciniello. In realtà, u Cicene è un orcio panciuto di terracotta tipico del mondo contadino, con due manici dal collo corto e sottile. Il contenitore, insieme alla giarre, serviva per mantenere l’acqua fresca, anche dopo una prolungata esposizione al sole, grazie alla trasudazione data dalla creta.
Il nome cicene, di derivazione latina, formato da ci e cano, is, (perfetto cecini) = cantare, richiama il gorgoglio nell’atto del bere che l’acqua produce uscendo, gorgogliando, dalla brocca. Con il cicene alcuni bagnanti prendevano l’acqua dalle fonti nel parco termale, una versione del tutto locale delle mummarelle, caratteristiche anfore di creta a due manici utilizzate nel passato a Napoli per trasportare acqua suffregna.
L’acqua suffregna era l’acqua solfurea che sgorgava da numerose fonti sparse per la città partenopea tradendo l’origine vulcanica del suolo napoletano ricco di zolfo, dal Vesuvio ai Campi Flegrei, soprattutto nel quartiere di Santa Lucia, dove si trovava una sorgente da cui sgorgava dell’ottima acqua sulfurea.
Nel Ventre di Napoli, famoso romanzo della scrittrice Matilde Serao, si racconta: “Nulla più pittoresco che la strada di Santa Lucia, di esclusiva proprietà dei signori pescatori e marinai, intrecciatori di nasse e venditori di ostriche; nonché delle loro signore mogli, venditrici di acqua sulfurea e di ciambellette…”. Nelle mummarelle l’acqua riusciva a conservarsi fresca. Venditori di acqua-suffregna, soprattutto donne, le trasportavano sulla testa o su dei carretti trainati dai mariti o dai figli.
Nella vicina Montesarchio, in Valle Caudina, c’era una grande produzione di vasellame in terracotta che prendevano il nome di ruagne e chi le fabbricava era detto u ruagnaro. Molte mummarelle arrivavano a Napoli proprio dall’antica città sannita. Il nome ruagn deriva dal latino rubeus (rosso), ad indicare il colore dell’argilla cotta. In giro per Napoli era possibile incontrare queste venditrici che camminavano per le vie della città vendendo acqua fresca a chiunque ne avesse desiderio; di sera, poi, rifornivano i chioschi degli acquafrescai.
Nei chioschi partenopei era molto diffusa anche la vendita dell’acqua delle Terme di Telese meglio conosciuta come l’acqua puzzolente, per il forte odore di zolfo che richiamava quello ancora più intenso delle uova marce. La fine dei banchi dell’acqua e della vendita dell’acqua sulfurea (suffregna) fu causata dai cambiamenti urbanistici che interessarono Santa Lucia e dall’epidemia di colera del 1973, quando si diffuse l’errata convinzione che l’acqua sorgiva di Santa Lucia potesse avere un ruolo nella diffusione dell’epidemia. Anche nelle Terme di Telese si smise di riempire i cicinielli a vantaggio della più pratica bottiglia di vetro.