Dal latino o dall’arabo, viaggio nelle parole italiane che provengono da lontano

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Nell’ antica Roma si parlava il latino e l’italiano altro non è che il latino modificatosi. Nel tempo, a seguito di conquiste, migrazioni, espansioni, molte parole comuni hanno avuto origini diverse: ragazzo, ad esempio, è una parola di origine araba che voleva dire “fattorino” e stava a indicare un garzone giovane, tant’è che, fino a pochi decenni fa, significava anche “bambino”. Nel primo Ottocento, Giacomo Leopardi, scrivendo una canzone dedicata “A un vincitore nel pallone” lo chiama “garzon bennato”, fattorino (giovane) di buoni natali. In Sicilia, ancora oggi, si usa la parola “caruso” (calvo) per indicare un bambino o ragazzo. La parola sta a indicare un bambino rapato a zero non solo a causa dei pidocchi ma, come racconta Verga, anche perché i ragazzi venivano impiegati nelle miniere di zolfo (zolfatare) ed essi, come i grandi, finivano per ricoprirsi del fastidioso e pericoloso zolfo che ne impastava i capelli.

Prendere i pidocchi in testa era molto comune nel passato e i bambini venivano rapati a zero per eliminare il fastidioso prurito provocato da questi parassiti. Nel dialetto partenopeo la parola caruso ha dato vita alla forma “carusiello” che indica il tipico salvadanaio di terracotta dove infilare le monete che quando, poi, era pieno, per aprirlo bisognava per forza romperlo. La forma sferica ricorda la testa pelata (carusata) di un bambino ed era all’origine del nome. Per risparmiare sul taglio dei capelli, i papà di una volta si raccomandavano al barbiere affinché al proprio figlio venisse fatto “un bel caruso”. Il termine deriverebbe, in realtà, dal latino “cariosus”, che vuol dire “glabro, rasato”. Il taglio, per i maschi, terminava con un atto di congedo che consisteva in uno schiaffo dietro la nuca (u cuzzetto), dato non solo dal barbiere ma anche da amici e parenti, spesso a sorpresa, e dai quali sfuggire per giorni, quest’azione rimandava a un’ usanza antica: lo schiaffo si ritrova nei riti di iniziazione dei militari nell’antica Roma, il soldato  veniva accolto con uno schiaffo di approvazione sulla nuca, usato per indicare, forse, una umiliazione in segno di sottomissione

Un’altra parola comune che ha avuto una sua personale trasformazione è “donna”, deriva dal latino domina, signora. Non tutti sanno che esisteva anche un maschile, “donno”, signore, che si è trasformato nel tempo nella forma don, un tempo usato per tutti come forma di ossequio. Oggi sopravvive soprattutto per alcune forme, ad esempio “don Matteo”. In latino casa si diceva domus da cui deriva anche domina (signora) intesa come “la padrona della casa”. In principio la parola domus stava a indicare “capanna”, “stamberga”. A seguito del percorso di civilizzazione, la parola “casa” sostituì la parola domus che passò a indicare gli edifici più grandi ed importanti come, ad esempio, il duomo.

La parola cane, nel passato, aveva una connotazione negativa ed indicava spesso un animale vile e disprezzato. Per questo esiste, ancora oggi, il modo di dire “sei un cane”. Il significato offensivo, con sfumature negative, è rimasto anche per altri animali: verme (“sei un verme”); porco (“mangiare come un porco”); vacca (“sembri una vacca”); serpente (“infido come un serpente”).