Dal pianoro della Madonna del Roseto: perdersi nell’infinito, di qua e di là del fiume

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“Ove per poco il cor non si spaura” (da L’infinito, Giacomo Leopardi)

Se salite verso la chiesetta della Madonna del Roseto e vi fermate lungo la strada ad ammirare la Valle Telesina, vedrete un mare di vigne che un’arcaica tradizione contadina riesce, ancora oggi, a conservare e preservare. Aspri valloni, colline ondulate, e una pianura solcata dal fiume Calore che s’avvia al mare mentre scorre lento ed increspato sotto il ponte Maria Cristina. Il ponte fu costruito nel 1835, uno dei primi realizzato, in Italia, in ferro, inaugurato alla presenza degli stessi reali borbonici e intitolato a Maria Cristina di Savoia che fu la moglie di Ferdinando II di Borbone. Nel 1943 fu distrutto e in seguito rifatto a una sola arcata.

Solopaca si vede poco, nascosta com’è nell’ombra della montagna di faggi e castagni che sovrasta il paese. Del resto rimane opaca, come riportato nel nome stesso, Surupaca o Sorripa, “poco sole”.
Si vedono paesi di qua e di là del fiume, nati lungo le antiche vie solcate da pellegrini, soldati e briganti; costruiti in pietra, dove si scorgono, a veder bene o solo a immaginare, antichi palazzi gentilizi con i loro portali ad arco e poi chiese, cortili, androni, gradinate e viottoli e giù in basso la superstrada e una nuova ferrovia che non capisci se venuta a portare genti o a finire di svuotare, in modo più veloce, quel poco che rimane della gioventù dei nostri borghi antichi.
Lungo la salita le possenti ginestre che in primavera si coloreranno di giallo, indicano il vecchio sentiero che si percorreva a piedi prima che costruissero la strada d’asfalto, passando tra frutteti, agrumeti e frutti selvatici, oggetto di piccoli furti che chissà se poi venivano confessati all’ombra della Madonna.

Dietro la montagna c’è l’abitato di Frasso Telesino che, forse, più che al frassino molto diffuso nel circondario, deve il suo nome al verbo latino frango, “frattura (della catena montuosa)”. Un mare di ulivi che sembrano scivolare lungo i pendii, porta fino a Melizzano da dove, guardando verso la montagna, si possono ammirare le rupi calcaree di Pizzo del Piano e, incastonato fra le rocce, il santuario della Madonna della Libera, la stessa che apparve il 2 luglio 663 a Benevento e liberò la città dall’assedio dell’imperatore bizantino, Costante II.
Una linea retta che passa tra i boschi sembra, idealmente, unire la chiesetta del Roseto con il santuario di San Michele in Camposauro, dove per i frassesi si pratica l’usanza, simile a quella solopachese, di andare il 29 settembre in processione a prendere la statua dell’Arcangelo, con canti, preghiere e invocazioni che accompagnano il santo fino in paese, ove, collocata nella collegiata di Santa Giuliana, resterà fino all’8 maggio per poi ritornare al monte.

Dal pianoro scelto per la vostra osservazione vi sembrerà strano, ma sarete al cospetto di una valle magica: guardando di fronte, riuscirete a intravedere un ponte in pietra posto fra due paesi da cui si lanciavano in volo le janare per arrivare fino alla città delle streghe e prendere parte al sabba infernale, ballando intorno all’albero di noce mefistofelico e, più in basso un piccolo paese (Castelvenere, ndr) da dove un barbuto uomo di chiesa, armato di ascia, sembra sia partito per abbattere il noce satanico.