E voi, siete pronti alla Quaresima?

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Nella mente dei più anziani il ricordo della Quaresima ritorna con più forza di quanto non avvenga per le generazioni più giovani.
Le privazioni alimentari imposte dai nostri genitori erano l’oggetto di malcelate doglianze per un’astensione difficile da capire e soprattutto da sopportare.

I sacrifici quaresimali da osservare per quaranta giorni: l’astensione da piaceri come caffè, dolci, zucchero e bevande alcoliche, la rinuncia alla carne, che per noi era la rinuncia alle salsicce, ai prosciutti, ai capicolli, alle ventresche che ci colavano in testa appesi ai ganci del soffitto a essiccare. L’eliminazione della carne, simbolicamente, sta a significare vincere la tentazione di gola con la capacità di dominazione dello spirito sul corpo.

La tradizione della Quaresima ha le sue radici in Gesù Cristo che prega e digiuna per quaranta giorni nel deserto, secondo i vangeli di Matteo, Marco e Luca. Quaranta giorni che, in realtà, sarebbero quarantaquattro. Non si contano le domeniche, che rimandano a molte narrazioni: il Diluvio universale durò quaranta giorni, Mosè trascorse quaranta giorni sul Monte Sinai per ricevere i Dieci Comandamenti, gli ebrei vagarono nel deserto per quaranta anni prima di raggiungere la Terra Promessa, e infine, quaranta sono i giorni che passano tra la Resurrezione e l’Ascensione di Gesù.

Etimologicamente, Quaresima, deriva dal latino quadr(ag)esima (sottinteso dies, “giorno”), ovvero “quarantesimo” giorno prima di Pasqua. La Quaresima si conclude con la festa della Pasqua. La Pasqua rimanda ad antichissimi riti in onore della dea Eostre che celebravano la natura e il risveglio della fertilità.

Jacob Grimm, uno dei due famosi fratelli conosciuti per aver raccolto e rielaborato le fiabe della tradizione popolare tedesca, cita prove comparative che mettono in collegamento la dea Eostre con la dea germanica Ostara e con la Pasqua. Il nome Oster, in tedesco, rimanda all’anglosassone Easter, che indica sia la Pasqua che la primavera.
Il culto di Eostre, matrona della fertilità di origine indo-europea mediato dai Greci, si diffuse in tutta l’Europa in seguito alle invasioni germaniche.
Nell’Impero romano, divenuta Vesta, la dea celebrava la rigenerazione della natura e la rinascita della vita, coincidente con l’equinozio di primavera.
In inglese la Pasqua è chiamata Easter: parecchi elementi della tradizione antica furono ripresi dal culto e sopravvivono nelle festività attuali. Tra questi il coniglio pasquale, simbolo di fertilità e prosperità e l’uovo, simbolo dell’embrione primordiale da cui scaturisce l’esistenza.
La lepre, oggi coniglio, era l’animale sacro alla dea Ostara. Le lepri erano associate alle divinità lunari e della caccia, i celti le consideravano animali divina­tori e traevano presagi dal loro modo di correre.

Un altro importante simbolo di Ostara e della primavera era l’uovo, raffigurazione dell’embrione primordiale che rimanda al concetto di Uovo cosmico. L’uovo rappresentava la vita, la creazione e la rinascita.
Lepre/coniglio e uovo, oggi, sono divenuti nella versione moderna fatta di cioccolato, i simboli “dolci” della Pasqua nel gioco di contaminazioni, sostituzioni, che ci riconducono, come sempre, alla radici primordiali di tutte le cose.