Il grano, folclore prima pagano e poi cristiano

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Gli egiziani adoravano il gatto per il “semplice” motivo che era l’unica difesa dai topi che falcidiavano i depositi di grano. Le antiche civiltà sono state tutte cerealicole e sono nate, cresciute e progredite principalmente dalla coltura e cultura del grano. La falce messoria diventò un simbolo talmente potente da diventare il simbolo stesso della morte, come del resto è rimasta traccia in alcune metafore (la falce della morte, la morte che miete le sue vittime).

L’epoca del raccolto, nelle società cerealicole, coincide con il periodo della massima occupazione stagionale e anche con il periodo della massima esaltazione delle energie vitali. Una situazione potenzialmente pericolosa: i mietitori riuniti, armati di falci e falcetti, potevano facilmente sollevarsi verso il padrone per vendicarsi di risentimenti, collere represse e frustrazioni patite. Una minaccia dell’equilibrio sociale che nelle società cerealicole veniva sventato con la creazione di “dispositivi” folclorici, prima pagani (il culto di Demetra, di Cerere) e poi cristiani (il culto di San Rocco).

L’agricoltore, con la mietitura, sperimentava un momento critico: la morte delle messi, il vuoto vegetale dei campi spogli e l’incerta prospettiva della nuova messe per l’anno successivo. Si comprende come il momento della raccolta assumesse un particolare rilievo culturale: il grano subiva una violenza di cui si sarebbe potuto vendicare con uno scarso o un nessun raccolto nell’anno successivo, per cui bisognava averne il massimo rispetto. La mietitura, dunque, veniva avvertita come un rimorso di cui si temeva la vendetta, da qui il bisogno di mascherare l’atto di mietere mascherandolo con il pretesto di fare qualcosa d’altro.

In Lucania, i mietitori mettevano in scena la mietitura come se fosse la caccia a un capro: un vecchio contadino faceva da capro con una pelle d’animale legata alla schiena e due falcetti all’altezza della testa come a essere le corna del capro. Il contadino-capra andava a nascondersi nel grano mentre i mietitori per poterlo catturare iniziavano a falciare le messi così da tramutare la mietitura in una caccia dove, per stanare la preda, era inevitabile anche il taglio stesso del grano, così che la loro azione non era diretta ma una inevitabile conseguenza. La caccia finiva con il taglio dell’ultimo covone, ultimo rifugio della preda sacrificale. Un “dispositivo” folclorico per vincere il senso di colpa che accompagnava la mietitura, vista come la morte del grano per mano dell’uomo, che in altre parti del meridione vedeva, al contrario, il rispetto dell’ultimo covone che veniva lasciato sul campo in segno di rispetto per ingraziarsi le potenti e misteriose forze della natura.