Camminando per alcuni suoi sentieri potreste vedere un giglio dal colore giallo-rosso; nelle grotte carsiche lungo il fiume Lete svolazza una farfalla dagli occhi fosforescenti e tra i sassi di Pietraroja sonnecchiano ancora i parenti di Ciro. Il giglio di San Giovanni fiorisce a fine primavera e inizio estate nella zona denominata Sella del Perrone, e una grossa farfalla Apopestas spectrum vive tra stalattiti e stalagmiti, al buio nelle grotte adiacenti il Lete, dove per vedere ha sviluppato degli occhi fosforescenti. A Pietraroia, dove un tempo c’era una laguna, ora sorge il Parco Geopaleontologico con annesso Museo dove si racconta, agli scettici, che in Italia abbiamo il più bello e interessante dinosauro della Terra.
Tra faggeti e altipiani, tra paesi aggrappati alla roccia come presepi, salite fino ai 1823 metri del Monte Mutria, inoltratevi nei boschi e vi troverete in un unicum. Potreste calpestare, senza saperlo, il terreno della provincia di Benevento o di Caserta o d’Isernia o di Campobasso. Il massiccio del Matese comprende tutte e quattro le province e appartiene a due regioni: sul versante molisano svetta il Monte Miletto con i suoi 2050 metri, divenuto meta di sciatori ed escursionisti. Il Monte Miletto o Mons Militum nel 297 a.C. vide l’ultima battaglia dei Sanniti contro Roma e il Matese fu rifugio e nascondiglio di tutti quelli che, dopo il 1860, si opposero al regno d’Italia divenendo briganti. Nel 1877, poi, un gruppo di anarchici scelse il Matese come laboratorio sociale per dare vita a un esperimento rivoluzionario mai tentato prima: portare la giustizia e la libertà alle plebi oppresse.
Su questi monti ancora resiste il lupo, ma fino a un secolo fa c’erano gli orsi, e le aquile vi trovavano casa, mentre ora sono ridotte a pochi esemplari da salvare. Nei boschi può capitare di vedere strane costruzioni, ammassi di legno a forma di vulcani; al loro interno si svolge una pratica antichissima: la produzione del carbone. I carbonai, custodi di una tradizione antica, da secoli eseguono la “carbonizzazione”, raccogliendo tronchetti di faggio ed erigendo “vulcani”. Pastori e carbonai, i veri padroni del Matese, conoscitori di sentieri, di segreti e interpreti del tempo che qui cambia quando meno te l’aspetti.
Il Matese detiene anche un primato molto particolare; ben due donne, Maria Capitano e Carolina De Cesare, furono a capo di formazioni di briganti, in una sorta di emancipazione femminile ancora oggi lontana da venire.
Nel lago Matese, un invaso mai piaciuto ai pastori che si videro portar via appezzamenti di verdi pascoli, voluto inizialmente dalle Manifatture Cotoniere Meridionali e poi passato all’Ente Nazionale per produrre energia idroelettrica per le industrie cotoniere della valle, abbondano carpe, lucci e anguille; se siete fortunati potete imbattervi lungo le sue rive nella rara luscengola, una lucertola che scivola sull’erba come una serpe. Su i pendii che si affacciano sul lago si trova il Tronco cavo, un enorme faggio colpito da un fulmine, si dice secoli fa, che nonostante la sua base, in gran parte bruciata, è sopravvissuto al tempo e svetta per circa 30 metri più rigoglioso che mai. Poco lontano dal lago, a Letino, le donne portavano, una volta, copricapi di vari colori: verde le nubili, rossi le sposate e neri le vedove, a seconda dunque del loro stato civile.
Pochi, forse, sanno che negli anni Sessanta una società milanese puntò gli occhi sul Matese finendo per far nascere il centro turistico invernale di Campitello Matese, un pianoro ai piedi del Monte Miletto a quei tempi del tutto privo di abitanti. La società milanese acquistò dal comune di San Massimo la località di Campitello impegnandosi a costruire case, alberghi e impianti sciistici. Il Comune vedeva in questa operazione un possibile risvolto economico e occupazionale cedendo per questo, a prezzi stracciati, i terreni. L’unico a non vendere fu il custode della centrale elettrica, la cui famiglia possiede, oggi, due alberghi. Negli anni Settanta si tentò di sviluppare anche il versante campano individuando la località denominata Bocca della Selva come sede di impianti sciistici da collocare sul Monte Porco, dove fu abbattuta una faggeta per far spazio alle piste. Negli ultimi anni, i cambiamenti climatici e la poca neve hanno portato alla dismissione delle piste e il villaggio turistico che negli anni ottanta aveva goduto di una discreta fama ha perso molto del suo fascino montano.
Nel 1868 il delegato di Pubblica Sicurezza di Roccamandolfi così descriveva i monti del Matese: “Il Matese, il gruppo di monti posto ai fianchi tra le due province di Molise e Terra di Lavoro, il quale estendendosi nella lunghezza di circa 60 Km da Venafro a Cusano Mutri, frastagliato da boschi, da valli e da burroni, allo sparir delle nevi, sarà tra un mese, tutt’al più popolato da armenti e carbonai”.