Il tesoro di San Gennaro, l’unico furto al mondo che mai nessuno proverà a fare

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Nel 1966, Dino Risi girò “Operazione San Gennaro” ,un film che racconta del tentativo di furto del tesoro del Santo custodito nella Cappella delle Reliquie all’interno del Duomo a Napoli. Il Tesoro di San Gennaro accoglie un inestimabile patrimonio di oggetti di devozione in oro, argento, bronzo e pietre preziose; è considerato il più ricco al mondo, solo la Mitra del Santo potrebbe valere intorno ai 20 milioni di euro.

La storia del tesoro s’intreccia con la devozione partenopea, rubarlo sarebbe un’offesa verso il Santo Patrono, tale da far esplodere il malcontento popolare, e nessun napoletano proverebbe mai a farlo, pur tentato dall’inestimabile guadagno. Nel film, infatti, il furto è architettato da tre americani che tentano di coinvolgere dei complici napoletani: Armanduccio Girasole, detto “Dudù”, a capo di una sgangherata banda composta da Sciascillo, suo assistente personale, il “Barone”, un uomo che avendo il cuore a destra vive facendosi ospitare in aule universitarie e congressi internazionali di medicina, il becchino “Agonia”, e il “Capitano”, tecnico della banda.

Il furto sacrilego non verrà portato a termine: pur tentata, la banda napoletana non se la sente di fare uno sgarro a San Gennaro e poi, nella storia, mai nessuno aveva mancato di rispetto al Santo, come quando nel 1798 Ferdinando IV, per far fronte alle spese di guerra contro la Francia, ordinò la fusione degli argenti sacri salvo poi ripensarci perché la fusione sarebbe stata un’offesa troppo grande verso il Santo.

I sovrani, per devozione o per politica, hanno sempre omaggiato il Santo. Già Carlo D’Angiò, nel 1304, fece costruire il primo busto d’oro del Santo, un busto curioso, modellato, forse, sulla figura di un nobile o di un prelato partenopeo per il fatto che la figura è rappresentata con le orecchie “a sventola” mantenendo un inconsueto realismo in un particolare non decisamente considerato di alto valore estetico dai consueti canoni di bellezza.


Carlo di Borbone, nel 1738, istituì un ordine cavalleresco intitolato al Santo a sottolineare il legame fra il re, la città e il suo patrono. Negli anni, Maria Amalia di Sassonia, regina consorte di Napoli e Sicilia dal 1738 al 1759, recò in omaggio al Patrono un gioiello in rubini e brillanti; a seguire, Maria Carolina d’Austria, Giuseppe Bonaparte fino a Vittorio Emanuele II, tutti hanno omaggiato San Gennaro con opere di oreficeria di inestimabile valore e bellezza.

Curiosità: nel film compare Totò nelle vesti di Jack, un vecchio furfante molto rispettato nell’ambiente malavitoso, momentaneamente “trasferitosi” a Poggioreale dove nutre un certo prestigio criminale nello stesso ambiente carcerario. Per rappresentare il carcere, nella finzione cinematografica gli esterni sono quelli del Castello di Baia a Bacoli. Dudù (Nino Manfredi), abita ai quartieri spagnoli dove prende il sole su una splendida terrazza, che ha come sfondo la cupola a tamburo della Basilica dello Spirito Santo, lungo via Toledo.
Le scene degli interni del Duomo e della Cripta del tesoro vengono ambientate nella Chiesa dei Girolamini in via Tribunali, sebbene nella realtà la statua e il tesoro di San Gennaro si trovino nel Duomo di Napoli.
Napoli, ma anche i suoi dintorni e non solo, compaiono nelle scene del film. Dudù, per fare gli auguri a una coppia di sposi, fa fermare la macchina davanti a Villa Campolieto a Ercolano; la folle corsa, verso la fine del film, passa per la scalinata di Via Carmine a Palestrina. In ultimo a trionfare è proprio San Gennaro, che viene portato in processione attraverso il Belvedere di Sant’Antonio a Posillipo.