L’arrivo della primavera, in antico, corrispondeva con il 30 aprile e veniva festeggiato con la festa del Calendimaggio. L’inizio della primavera era di grande importanza nella tradizione popolare come giorno di ripresa del ciclo stagionale. La sera del 30 aprile, giovani e ragazze si recavano nei boschi e, al sopraggiungere della notte, sradicavano un albero di faggio, pino o abete e lo piantavano nella piazza principale del paese; il giorno dopo aveva inizio la festa che consisteva nel porre in cima all’albero dei doni (prosciutti, salsicce, dolci, pollame), e la festa si concludeva con chi riuscisse ad arrivare in cima e ad appropriarsi di tutti i doni.
Un residuo, ancora vivo fino a pochi anni fa, era l’albero della cuccagna dove all’albero si sostituisce un palo viscido di sapone per renderlo scivoloso, tale da rendere così l’ascesa quanto mai difficile. Quand’ero piccolo, ricordo una festa telesina che si svolse nell’odierna piazza Fellini e mio zio, nella cittadina di Ponte, era divenuto un mito perché, nonostante fosse affetto da poliomielite che gli aveva privato l’uso di una gamba, era riuscito a salire lo stesso sull’albero vincendo sugli altri partecipanti. Nella notte del 30 aprile, i giovani pretendenti ponevano alla porta o alla finestra della propria ragazza un ramo d’albero, detto il Maio (maggio), come formale richiesta di fidanzamento. Prima di dedicare alla Vergine il mese di maggio, la Chiesa aveva tentato di sostituire le feste pagane delle calende e delle idi per la dea Flora protettrice degli alberi, dedicando quei giorni a qualche santo: a Cagliari era Sant’Efisio, mentre a Gubbio era Sant’Ubaldo dove si svolge nello stesso giorno la tradizionale Corsa dei ceri, strutture di legno che superano i tre metri, dove gli iscritti alle tre arti (muratori, contadini e commercianti) si sfidano con una corsa, a rotta di collo, per le vie della città in una gara a chi arriva prima, sano, salvo e intero.
Una delle feste più singolari che si svolgono a maggio è la Festa dei Serpari di Cocullo, in provincia dell’Aquila: secondo la tradizione religiosa, San Domenico, monaco benedettino di Foligno, visse a Cocullo per sette anni, liberando gli abitanti del paese dai serpenti che con i loro morsi velenosi procuravano danni alle persone e alle bestie al pascolo. In seguito, i pastori si specializzarono nella cattura dei serpenti e dal rendere immune il loro morso dal veleno con la pratica di strappare, a questi, i denti attraverso i quali essi iniettano il veleno. Con un veloce strappo del cappello o altro a cui i serpenti si aggrappavano nel tentativo di mordere la preda, i pastori finivano per cavargli i denti più pericolosi. Nel mese di marzo, i Serpari catturano nelle campagne diverse specie di serpenti: cervoni, saettoni, bisce ma soprattutto la temuta vipera con i quali ricoprono la statua del Santo, portato in processione tra la meraviglia e lo stupore generale dei fedeli accorsi dall’Abruzzo e dal vicino Lazio. Infatti, San Domenico è morto a Sora e le sue spoglie sono conservate nella chiesetta che dal monte sovrasta la cittadina ciociara. Nell’Ottocento, il movimento socialista trasformò la ricorrenza del 1 maggio in festa dei lavoratori, facendole assumere un carattere di protesta sociale e recuperando, per certi versi, l’origine pagana.