Nascosta tra le pieghe della grande Storia del brigantaggio che vide il Matese come protagonista, c’è una piccola storia d’amore. Il 3 maggio del 1863, in uno dei tanti scontri a fuoco che imperversavano nel mandamento di Piedimonte d’Alife (Piedimonte prenderà la denominazione Matese nel 1970), venne ucciso un brigante al quale le guardie, ritenendo erroneamente che fosse il capobrigante Libero Albanese, tagliarono la testa. Il taglio della testa era una pratica molto comune riservata ai capi briganti; le guardie, dopo aver reciso la testa dal corpo, la fissavano alla sommità di un palo che esponevano ad ammonizione della popolazione. I briganti venivano rinchiusi nel carcere di Piedimonte dove le madri, le sorelle e le spose potevano recarsi per portar loro cibo e vestiari.
Maria Carmine Valente di Cusano Mutri, non vedendo tornare suo marito, dopo giorni, decise di recarsi presso il Comando di guardia di Piedimonte per avere notizie del suo compagno. Si unì, così, alle donne che quotidianamente, attraverso la via dei monti, raggiungevano Piedimonte per recarsi al mercato, e insieme a queste percorse il sentiero che da Calvarusio porta, ancora oggi, fino a piazza Sorgente, al centro della cittadina matesina, passando sopra i monti alle spalle di Gioia Sannitica e raggiungendo infine, dopo circa 18 chilometri, il monastero di San Pasquale alle pendici del monte Muto per poi scendere a valle.
Una volta a Piedimonte, Maria Carmine, recatasi al Corpo di guardia, vide esposte lungo le mura del carcere diversi pali sormontati da povere teste mozze, ancora grondanti sangue, tra le quali riconobbe quella del suo uomo. Per giorni chiese che le fosse consegnata la testa del suo compagno a cui avrebbe voluto dare un’umana sepoltura, rimanendo per giorni e notti davanti al portone del carcere dove fu costretta a subire le ingiurie, le offese e le minacce delle guardie. Il suo coraggio e la sua perseveranza furono premiate, le guardie le permisero, infine, di portar via la testa di suo marito e fu ella stessa a toglierla dal palo e, dopo averla adagiata in una cesta e coperta con un panno, si avviò per far ritorno a casa. Lungo il cammino si fermò a una fontana dove, amorevolmente, lavò la povera testa del suo amato accarezzandola con l’acqua fredda che viene giù dai monti del Matese.