Le tradizioni popolari sono ricche di storie che si esprimono in una novellistica varia che va dall’orrido e pauroso al comico e satirico.
Una novella dai tratti comici e sarcastici è sicuramente il racconto dell’ “asino sul campanile” da cui nasceva un curioso modo di dire che ho sempre, impropriamente, attribuito alla cittadina di Guardia Sanframondi (ride il ciuco, ha visto l’erba fresca sul campanile) come tutta la storiella, ma che, in realtà, appartiene alla tradizione popolare di molti comuni italiani da nord a sud.
La storia, adattata e riproposta di volta in volta nei vari comuni, recita: un tempo gli abitanti di… issarono sul tettuccio del campanile della loro chiesa un asino perché mangiasse l’erba in vegetazione che era cresciuta tra le tegole. Approntato un sistema di carrucole, legarono attorno al collo del povero animale una robusta e lunga corda ed iniziarono a tirare, ma non appena l’asino cominciò a salire, la corda iniziò a strozzarlo tanto che il ciuco cacciò la lingua fuori dalla bocca e cominciò a stramazzare. “Ride!”, pensarono i paesani e convinti che l’animale ridesse per la contentezza di essere sempre più vicino alla agognata meta, tirarono più forte tanto da strozzarlo.
La novella si ascrive alle storie inventate per portare discredito agli abitanti di un paese limitrofo con il quale, spesso, non correva simpatia per farli apparire stupidi ed ignoranti.
A Coreno Ausonio, in provincia di Frosinone, si revoca una vecchia leggenda il cui scopo era quello di testimoniare l’antica rivalità che correva tra gli abitanti di Coreno e della vicina Ausonia. Il racconto è simile, se non uguale, ai tanti che percorrono la penisola:
– Quant’ereva é cresciuta ‘ncoppa gliu campanaru! Perciò gl’asenu meo, quanno passa pella
thiazza, scoteléa gliu capu e caccia fore ‘e sanne! Ne Pippinè te piacesse, eh !!!
– E come facemo a fa arrivà gl’asenu fin’allà ‘ncoppa? Ce volesse ‘na fone longa ra ccà a Fammera!
Giuagni va a prendere le funi, le unisce e sale sul campanile. Da lì butta la corda e ridiscende. I
corenesi legano l’asino e cominciano a tirare la fune.
– Iàmmo! Tirate! Non lassate!
Quasi a metà percorso il povero asino morì. [l’asino resta immobile a bocca aperta]. Rimase con la
bocca aperta, la lingua da fuori e si contavano tutti i denti.
– Uardate, uardate com’e contentho gl’asenu! St’arrire!
Ma arrivato in alto l’asino non mangiava e rimaneva immobile.
– Ma vui ce fate o ce sete? Chigliu è mortho! Gl’ate mpiccathu!
con l’aggiunta di un finale irriverente: i due contadini, che avevano issato l’asino, per recuperare almeno la pelle della povera bestia. Per facilitarne il distaccamento immaginarono utile gonfiare d’aria il corpo morto dell’animale. Provano a farlo soffiando con impegno in una cannetta opportunamente infilata nel suo deretano. In quest’operazione si diedero anche il cambio affannosamente, ma con risultati poco incoraggianti. Passò dì lì un Frattese, ovvero un abitante dell’antica Ausonia che fino al 1862 si chiamava Fratte, e i due chiesero aiuto anche a lui. Il signore più distinto e schizzinoso accettò a condizione di non mettere la sua bocca dove l’avevano già messa i Corenesi, ma girò la canna, per soffiare dalla parte che era stata invece infilata… nelle viscere dell’asino.
La stessa storia la ritroviamo a Sperone (in provincia di Avellino): “Guardate il ciuccio mio com’è contento: vede l’erba e già arrota i denti!
E appresso a lui, tutti gli abitanti di Sperone ripetevano: – Oh, oh, guardate come ride al solo vedere l’erba fresca alla portata dei suoi denti”. Di lì a poco l’asino stese le gambe. Aiutato dai paesani, il padrone lo tirò giù e ne constatò la morte.
Aneddoti burleschi, che si raccontavano per prendere in giro gli abitanti del paese rivale dove, spesso, si invertono i ruoli del burlone e del burlato, per far apparire il paese vicino un paese di scemi e creduloni:
Curiosità – In Fontamara, lo scrittore Ignazio Silone riprende, anche se non direttamente, la storia del ciuco e fa portare dal protagonista Berardo Viola, per dare prova di forza, un asino sulle spalle a mangiare l’erba sul campanile del paese.